I Verdi scoprono la violazione: per gli ultimi 4 decreti
serviva la firma del Quirinale entro il 26 agosto. Replica: “È tutto ok”
Il Jobs Act rischia di essere fuori legge. Almeno nei
quattro decreti legislativi all’esame delle Camere che devono essere approvati
definitivamente dal Consiglio dei ministri. A scoprire la violazione del
dettato costituzionale sono i Verdi di Angelo Bonelli che, con la senatrice
Paola De Pin, ex M5S passata al movimento ecologista, hanno presentato un’interrogazione parlamentare. L’elemento di incostituzionalità potenziale riguarda le
prerogative del Quirinale, la cui firma, secondo quanto previsto dalla legge
delega, è necessaria per emanare il provvedimento. Firma che dovrebbe essere
apposta “entro venti giorni dalla scadenza” del provvedimento. Il quale scade
il 16 settembre. I venti giorni scadevano, quindi, il 26 agosto, quando il
Parlamento dormiva e anche il governo era piuttosto assente. Il ministero del
Lavoro, interpellato dal Fatto sulla possibile invalidazione dei decreti
legislativi ha risposto sicuro: “Per quanto ci risulta, è un rischio che non
esiste”. Eppure, chi ha redatto la nota per i Verdi non ha dubbi e li spiega
con chiarezza. È la stesse legge delega a precisare i termini della questione.
Al comma 10, infatti, si legge: “I decreti legislativi di cui ai commi 1, 3, 5,
7 e 8 del presente articolo (quelli da cui derivano i decreti legislativi in
via di approvazione, ndr.) sono adottati nel rispetto della procedura di cui
all'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400”. La legge 400 è in bella
evidenza sul sito ufficiale del governo. All’articolo 14, non solo spiega che
“i decreti legislativi adottati dal Governo ai sensi dell’articolo 76 della
Costituzione sono emanati dal Presidente della Repubblica con la denominazione
di ‘decreto legislativo’ e con l’indicazione, nel preambolo della legge di
delegazione, della deliberazione del Consiglio dei ministri e degli altri
adempimenti del procedimento prescritti dalla legge di delegazione”. Quello che
è più importante è che si precisa che “il testo del decreto legislativo
adottato dal governo è trasmesso al Presidente della Repubblica, per la
emanazione, almeno venti giorni prima della scadenza”. I venti giorni sono già
passati e i decreti non sono ancora transitati per palazzo Chigi per l’ok
definitivo. Stiamo parlando dei quattro testi che riguardano il riordino dei
servizi ispettivi, gli ammortizzatori sociali, la semplificazione degli
adempimenti e le politiche attive. Pezzi significativi del provvedimento per i
quali, però, la firma del Presidente della Repubblica potrebbe essere aggirata
e resa superflua. Chi ha studiato il caso ricorda il precedente, avvenuto nel
2002, con il governo Berlusconi, quando la giurisprudenza ritenne addirittura
“clamoroso” che Berlusconi avesse inviato un decreto legislativo in
Parlamento lo stesso giorno della sua emanazione. Ma si trattava del Codice
della Strada e nessuno si sarebbe sognato di fare ricorso contro una legge di
questo tipo. L’importanza dell’articolo 14 della legge 400, del resto, è
confermata da un’al - tra sentenza della Consulta del 2000. L’effetto, dunque,
potrebbe essere quello di un “vizio formale” nell’ambito del procedimento di
emanazione dei decreti attuativi del Jobs Act, il quale comporta un eccesso di
delega, non avendo il Governo rispettato termini e modalità indicati dal
Parlamento per l’esercizio della delega stessa. Il governo, a giudicare dalla
sua risposta, potrebbe non tenerne conto e andare avanti. A quel punto
potrebbero fioccare i ricorsi. Chi reputasse ingiusto uno dei provvedimenti
contenuti nei quattro decreti potrebbe invocarne, presso un Tribunale,
l’incostituzionalità. Il contenzioso giudiziario potrebbe avere esiti
imprevedibili.
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