Oggi alla Camera comincia l’iter della nuova
disciplina
sulle intercettazioni. Dall’udienza filtro al carcere:
così si
mettono a tacere le notizie scomode
L’allievo potrebbe superare il maestro. Silvio Berlusconi
non riuscì a imporre il bavaglio alla stampa, fermato da girotondi e dubbi del
Quirinale. Matteo Renzi invece è (quasi) a metà dell’opera. Oggi pomeriggio
nell’aula della Camera arriva il disegno di legge sulla riforma penale, che
contiene la delega al governo per riscrivere le norme sulla pubblicazione delle
intercettazioni. Delega quasi in bianco, con una decina di righe generiche nel
contenuto ma chiare nell’intento: vietare la diffusione delle intercettazioni “non
penalmente rilevanti”. Spesso, scomode per partiti e accoliti vari. E
dentro c’è anche l’emendamento Pagano, che prevede il carcere per chi effettui
registrazioni di nascosto. La maggioranza, con in testa il Pd, vuole
approvare tutto in prima lettura entro giovedì. Perché il tema è caro agli
alleati inquieti del Nuovo Centrodestra. Dichiaratamente contro, solo i
Cinque Stelle. Promettono “battaglia in aula”, dove hanno presentato 300
emendamenti. “Ma avremo solo un’ora e 11 minuti per presentarli, i tempi sono
contingentati”, lamenta Giulia Sarti. Ieri ha tenuto una conferenza stampa
assieme a Vittorio Ferraresi, a cui il M5s aveva invitato tutti i giornalisti.
Si sono presentati in quattro: il presidente dell’Ordine Enzo Iacopino, Marco
Lillo del Fatto, Antonino Monteleone di Piazza Pulita e Liana Milella di Repubblica.
Mani libere per l’esecutivo
La mordacchia che verrà si annida nell’articolo 29 del ddl.
Poche righe che delegano al governo di stabilire “prescrizioni che incidano
sulle modalità di utilizzazione cautelare” delle intercettazioni, e che “diano
precisa scansione all’udienza di selezione del materiale intercettato”, per
tutelare “la riservatezza di persone occasionalmente coinvolte”. Tradotto, si
punta a un’udienza filtro. Sul Fatto di due giorni fa, Walter Verini (Pd)
spiegava: “L’orientamento è quello di un’udienza dove l’avvocato della difesa,
il pm e il giudice (dell’udienza preliminare, ndr) valutino quali siano le
intercettazioni di rilevanza processuale. Se non lo sono, vengono messe in una
‘cassaforte ’ sotto la responsabilità del magistrato”. Ma le modalità restano
nebulose, come le sanzioni per i giornalisti che violassero il blocco. Mentre
sono già evidenti i rischi. Con una norma del genere, non sarebbero comparse
sui giornali le intercettazioni che riferivano del dono di un Rolex da 10 mila
euro al figlio dell’ex ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, da parte di un
imprenditore arrestato nell’inchiesta della procura di Firenze sulle Grandi
Opere. E non si sarebbero lette le conversazioni tra Matteo Renzi e il generale
della Finanza Michele Adinolfi, in cui il segretario dem bollava Enrico Letta
come “un incapace”. “La norma - aggiunge Ferraresi - potrebbe favorire ricatti
da parte dei pochi che apprenderanno il contenuto delle intercettazioni”.
Quell’emendamento ancora pericoloso

Non solo censura: le altre ombre
Il ddl impone ai pubblici ministeri il termine tassativo di
tre mesi dalla scadenza formale dei tempi d’indagine, entro cui chiedere il
rinvio a giudizio o l’archiviazione di un ’inchiesta. E i magistrati già
protestano: in indagini di dimensioni medio-grandi, come quelle sulla mafia,
dover chiudere entro 90 giorni può essere un macigno.
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