Altro
che pace e ruolo guida dell’Italia per mettere d’accordo le fazioni libiche.
L’ex colonia riparte in guerra verso Roma. Da Tobruk il governo libico ci
attacca, accusandoci di aver violato le acque territoriali con le sue “navi da
guerra”. Roma nega, ma la tensione sale anche a Tripoli, dove si è verificata
l’enne - sima profanazione del cimitero cattolico italiano, condannata come
“vile e barbara” dalla Farnesina. Sabato, denuncia il governo di Tobruk che si
spartisce il potere con l’“altro” Parlamento a Tripoli, “tre navi da guerra
italiane sono arrivate nei pressi delle coste di Bengasi, a Daryana”, circa 55
chilometri a est della città, e poi si sono spostate verso Derna. Il governo
libico, espressione dell’unico Parlamento del Paese riconosciuto dalla Comunità
internazionale, avverte che “non esiterà a ricorrere a tutti i mezzi che gli
consentano di proteggere le sue frontiere e la sua sovranità territoriale”. La
replica del ministero della Difesa è altrettanto netta: “La notizia è falsa.
Tutte le navi militari italiane presenti nel Mediterraneo operano in acque
internazionali rispettando i limiti stabiliti dai trattati”. In serata Tobruk
insisteva: fonti libiche spiegavano che “la violazione è stata tracciata, e
verificata anche dai nostri caccia”, levatisi in volo nella serata di sabato
per “monitorare i movimenti delle tre navi” fino a quando, “dopo aver ricevuto
un avvertimento, non sono tornate nelle acque internazionali”. A Roma fonti
diplomatiche smentiscono con forza: “Le navi militari italiane erano a 60-70
miglia dalla costa”, le accuse di Tobruk “forse sono un nuovo tentativo per far
saltare l'intesa sul nuovo governo da parte di chi non la vuole”.
Il
riferimento è alla nuova convocazione del Parlamento libico, che dovrebbe
approvare il governo di unità mediato dall’inviato speciale dell’Onu,
Bernardino Leon (che è a fine mandato e dovrebbe essere sostituito questa
settimana dal tedesco Martin Kobler) mentre secondo altre tesi si limiterà a
“nominare un nuovo team negoziale”, anche se lo stesso Leon e il ministro degli
Esteri Paolo Gentiloni nei giorni scorsi hanno ribadito chiaramente che
l'intesa sul tavolo “non è più negoziabile”. Ma c’è anche l’elemento
propagandistico da non sottovalutare: sia a Tripoli che a Tobruk, in particolare
per bocca del suo “falco”, il generale Khalifa Haftar, chi osteggia il governo
di unità paventa che esso porterà “a un intervento militare straniero”. Chi
soffia sul fuoco ha intanto aizzato il sentimento anti-italiano: il cimitero di
Hammangi a Tripoli è stato di nuovo devastato. La denuncia è arrivata
dall’Associazione Italiana Rimpatriati dalla Libia (Airl). Le foto inviate
all’Ansa testimoniano lo scempio, “un atto di inciviltà che completa il quadro
tragico della Libia”, dice l’Associazione. In questo caso il precedente più
sanguinoso si registrò nel febbraio 2006: 11 morti e oltre 20 feriti, tutti
libici, nell’assalto al consolato italiano di Bengasi, con il console e i
dipendenti liberati a fatica dall’assedio di una folla inferocita. In
quell'occasione, la scintilla era stata l’allora ministro delle Riforme, il
leghista Roberto Calderoli, che aveva indossato in tv una maglietta con una
vignetta su Maometto.
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