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lunedì 2 novembre 2015

“Le vostre navi da guerra nelle nostre acque” Poi Tripoli devasta il cimitero italiano


Altro che pace e ruolo guida dell’Italia per mettere d’accordo le fazioni libiche. L’ex colonia riparte in guerra verso Roma. Da Tobruk il governo libico ci attacca, accusandoci di aver violato le acque territoriali con le sue “navi da guerra”. Roma nega, ma la tensione sale anche a Tripoli, dove si è verificata l’enne - sima profanazione del cimitero cattolico italiano, condannata come “vile e barbara” dalla Farnesina. Sabato, denuncia il governo di Tobruk che si spartisce il potere con l’“altro” Parlamento a Tripoli, “tre navi da guerra italiane sono arrivate nei pressi delle coste di Bengasi, a Daryana”, circa 55 chilometri a est della città, e poi si sono spostate verso Derna. Il governo libico, espressione dell’unico Parlamento del Paese riconosciuto dalla Comunità internazionale, avverte che “non esiterà a ricorrere a tutti i mezzi che gli consentano di proteggere le sue frontiere e la sua sovranità territoriale”. La replica del ministero della Difesa è altrettanto netta: “La notizia è falsa. Tutte le navi militari italiane presenti nel Mediterraneo operano in acque internazionali rispettando i limiti stabiliti dai trattati”. In serata Tobruk insisteva: fonti libiche spiegavano che “la violazione è stata tracciata, e verificata anche dai nostri caccia”, levatisi in volo nella serata di sabato per “monitorare i movimenti delle tre navi” fino a quando, “dopo aver ricevuto un avvertimento, non sono tornate nelle acque internazionali”. A Roma fonti diplomatiche smentiscono con forza: “Le navi militari italiane erano a 60-70 miglia dalla costa”, le accuse di Tobruk “forse sono un nuovo tentativo per far saltare l'intesa sul nuovo governo da parte di chi non la vuole”.

Il riferimento è alla nuova convocazione del Parlamento libico, che dovrebbe approvare il governo di unità mediato dall’inviato speciale dell’Onu, Bernardino Leon (che è a fine mandato e dovrebbe essere sostituito questa settimana dal tedesco Martin Kobler) mentre secondo altre tesi si limiterà a “nominare un nuovo team negoziale”, anche se lo stesso Leon e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni nei giorni scorsi hanno ribadito chiaramente che l'intesa sul tavolo “non è più negoziabile”. Ma c’è anche l’elemento propagandistico da non sottovalutare: sia a Tripoli che a Tobruk, in particolare per bocca del suo “falco”, il generale Khalifa Haftar, chi osteggia il governo di unità paventa che esso porterà “a un intervento militare straniero”. Chi soffia sul fuoco ha intanto aizzato il sentimento anti-italiano: il cimitero di Hammangi a Tripoli è stato di nuovo devastato. La denuncia è arrivata dall’Associazione Italiana Rimpatriati dalla Libia (Airl). Le foto inviate all’Ansa testimoniano lo scempio, “un atto di inciviltà che completa il quadro tragico della Libia”, dice l’Associazione. In questo caso il precedente più sanguinoso si registrò nel febbraio 2006: 11 morti e oltre 20 feriti, tutti libici, nell’assalto al consolato italiano di Bengasi, con il console e i dipendenti liberati a fatica dall’assedio di una folla inferocita. In quell'occasione, la scintilla era stata l’allora ministro delle Riforme, il leghista Roberto Calderoli, che aveva indossato in tv una maglietta con una vignetta su Maometto.

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