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sabato 7 novembre 2015

La caccia agli scafisti è una lotta infinita “Tornano sempre, li conosciamo uno a uno”

Entrano ed escono dalle carceri italiane. E una volta a casa, in Egitto o in Libia, riprendono la tratta di esseri umani come se niente fosse. E’ uno dei paradossi della battaglia contro le mafie della sponda Sud del Mediterraneo. Così, come nell’ultima operazione contro i clan, 21 egiziani arrestati, capita che “guardie” e “ladri” si conoscano benissimo. Come nel caso di Ahmed, fermato in mare aperto mentre stava rimorchiando un barcone. Nel 2011 dopo uno sbarco aveva sequestrato in Sicilia 22 immigrati per estorcere altro denaro alle loro famiglie
 Scafisti, con le autorità italiane a caccia di trafficanti. “Tornano sempre, li conosciamo uno a uno”. La storia di Ahmed, sequestratore ieri e “sciacallo” oggi
Viaggio nel mondo del contrasto all’immigrazione clandestina fra scafisti, migranti e investigatori italiani, coloro i quali da anni sono in prima linea per disarticolare le mafie della sponda Sud del Mediterraneo, soprattutto Egitto e Libia. Una lotta che, nonostante i numerosi colpi messi a segno si deve scontrare con il flusso sempre maggiore di immigrati pronti a partire e con il clima di impunità di cui godono i trafficanti nei rispettivi paesi.
Così quando dopo una traversata investigatori e scafisti si trovano gli uni di fronte agli altri succede quello che chi non si occupa di clandestini non immaginerebbe mai: “guardie” e “ladri” spesso si conoscono benissimo perché molti dei criminali sono già passati per le maglie della giustizia italiana. Ma i trafficanti, soprattutto se sono al primo arresto, fanno qualche mese di carcere per poi tornare nelle varie Zuwara in Libia o Alessandria in Egitto, e riprendere imperterriti la tratta di essere umani. Così, nonostante gli investigatori italiani sappiano tutto o quasi di queste consorterie (da chi sono composte e dove si trovano magazzini e cantieri navali) senza la collaborazione dei paesi nordafricani le indagini si fermano e i viaggi dei migranti, compresi quelli della morte, continuano.
Il caso dell’ultima grande operazione contro alcuni trafficanti egiziani è paradigmatico. Due settimane fa, Marina militare e Gicic, il gruppo interforze di contrasto all’immigrazione clandestina della procura di Siracusa, riescono a mettere le manette ai polsi a 21 scafisti e ad affondare due grossi pescherecci in ferro dopo il salvataggio di 478 migranti nel Canale di Sicilia.

I trafficanti vengono presi mentre stavano sciacallando, termine tecnico che indica l’usanza di riprendersi i barconi dopo i salvataggi per una nuova tratta, il natante su cui viaggiavano gli immigrati. Una volta a bordo, gli uomini del sostituto commissario Carlo Parini, capo del Gigic e protagonista del libro Mare Mostrum di Cristina Giudici, scopre che molti scafisti sono delle sue antiche conoscenze. Soprattutto uno: Ahmed, protagonista di una delle storie più crudeli dell’immigrazione clandestina in terra di Sicilia: il sequestro, nel 2011, di 22 egiziani, che dopo lo sbarco nel Siracusano vengono rapiti e tenuti segregati dagli organizzatori del viaggio per estorcere altri soldi alle loro famiglie in Egitto. “Grazie a 18 anni di indagini, fra intercettazioni, interrogatori e studio delle rotte siamo riusciti a individuare chi sono i gruppi criminali e dove operano – commenta Parini che dirige il team coordinato dal procuratore Antonio Nicastro – Ma senza la collaborazione dei governi di quei paesi per noi è impossibile svolgere un’attività investigativa soddisfacente”. Così i viaggi continuano e con loro le morti in mare.


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