amministrazione Marianna Madia
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Pensavate che il comma 22 fosse insuperabile? Credevate
impossibile andare oltre quel “chi è pazzo può essere esentato dalle missioni
di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo”,
straordinario paradosso ideato dal grande scrittore antimilitarista Joseph Heller.
Beh, dovete cambiare opinione. Perché la gente di talento è un po’ ovunque e
per nostra fortuna in Italia siede nel governo. Lo dimostra il comma 5
dell’articolo 6 del decreto sulla trasparenza pubblicato ieri dall’esecutivo
con appena tre settimane di ritardo rispetto al Consiglio dei ministri che il
20 gennaio lo aveva approvato. La nuova legge, che entrerà in vigore dopo il
parere (non vincolante) del Parlamento, è chiara. La trasparenza vale per
tutti. Qualunque cittadino, senza doverne spiegare il motivo, può chiedere atti
alla Pubblica amministrazione e ha diritto di ottenerli entro un mese dalla
domanda. Anche se “decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si
intende respinta”. E qui emerge il genio o, se preferite, per dirla col Perozzi
di Amici Miei, “la fantasia, l’intuizione, la decisione e la velocità di
esecuzione” del nostro legislatore. Le neonate norme sulla Pubblica
amministrazione, finalmente trasformata in casa di vetro, stabiliscono infatti
che restino oscuri, anzi segreti, i motivi per cui un documento o un fascicolo
non viene consegnato. Le carte che hai chiesto non te le danno, punto e basta.
Certo, contro le indicibili e inespresse ragioni del
silenzio-diniego si può sempre ricorrere. Ma visto che siamo in Italia e non
negli Usa dove il Freedom of Information Act è dal 1966 una cosa seria, qui ci
si deve appellare al Tar. E nel caso in cui, dopo anni di cause e molte
migliaia di euro spesi, un cittadino finisca per aver ragione, i funzionari che
si sono comportati male tenendo tutto nei cassetti non verranno sanzionati. Le
nuove norme non lo prevedono. Del resto i motivi per cui, secondo la legge, i
dipendenti pubblici possono alzare le spalle sono talmente tanti e vaghi che
pensare di punirli in qualche modo è impossibile. Le amministrazioni non
rispondono (e dicono di no) se a loro avviso è in gioco “la sicurezza pubblica,
la sicurezza nazionale, la difesa e le questioni militari, le relazioni
internazionali, la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello
Stato, la conduzione di indagini su reati e il loro perseguimento, il regolare
svolgimento delle attività ispettive, la protezione dei dati personali (…), gli
interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica (...)”. È
evidente che ogni tipo di richiesta di trasparenza può in teoria scontrarsi con
uno di questi motivi. Volete sapere su quali carte si sono basate le delibere
di una giunta il cui sindaco è finito in galera? Purtroppo c'è un’inchiesta in
corso. Vorreste conoscere tutto sugli scontrini di un consigliere regionale?
Niente da fare, c’è la privacy. Vi interessano i derivati del vostro comune?
Lasciate perdere, mica si può ledere la stabilità finanziaria italiana. E
quella speculazione edilizia? A far troppa luce si rischia di incappare in
interessi economici. E comunque anche se di motivi per non rispondere non ce ne
sono, non importa. Intanto le ragioni del no non vanno esplicitate. Per legge.
Potenza del comma 5 e delle nuove norme sulla trasparenza. Un articolato
perfetto, diabolico, ideato per scoraggiare le amministrazioni dalla messa
online di documenti e per rendere ancor più difficile l’accesso agli atti da
parte dei cittadini. La burocrazia vince, anzi rivince. E in fondo merita
l’applauso.
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