"Guardi, ora sono con delle persone, risentiamoci più tardi”.
Clic. Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali, poi per tutto il giorno
risulterà irraggiungibile. La domanda che gli avevamo fatto era sul mancato
election day. Ovvero cosa ne pensa del fatto che il governo ha deciso di far
tenere il referendum sulle trivellazioni in mare per il petrolio il 17 aprile,
senza invece accorparlo al primo turno delle elezioni amministrative,
consentendo così di risparmiare oltre 300 milioni di euro. Cifra poco inferiore
ai 402 milioni di euro raccolti dallo Stato nel 2014 per le royalties sulle attività
petrolifere. La domanda l’abbiamo rivolta a Franceschini perché fu lui, nel
2011, a sostenere con forza l’election day in occasione dei quattro referendum
su acqua, nucleare e legittimo impedimento. A Palazzo Chigi c’era Silvio
Berlusconi e il Pd chiese con forza di accorpare i quesiti alle amministrative
di primavera. “Dire no all’election day significa buttare dalla finestra almeno
300 milioni di euro, in un momento in cui le imprese e le famiglie italiane
sono in grande difficoltà. E unicamente per impedire che il referendum sul
legittimo impedimento raggiunga il quorum”, diceva allora l’attuale ministro
dei Beni culturali.
Quando i dem gridavano allo scandalo
Oggi molto deve essere cambiato, perché non è stato emesso
nemmeno un fiato. E anche in questo caso l’intento dell’esecutivo – di cui però
ora Franceschini fa parte – sembra essere lo stesso: sabotare il raggiungimento
del quorum. In Parlamento, nel 2011, fu addirittura presentata una mozione
firmata, tra gli altri, da Ventura, Maran, Calipari, Boccia, Quartiani,
Giachetti, Rosato. Già proprio Ettore Rosato, l’attuale capogruppo a
Montecitorio, che ora invece, come tutti suoi colleghi, tace. La mozione fu poi
bocciata per un solo voto, con grande disappunto di Matteo Renzi, allora sindaco
di Firenze, che criticò le troppe assenze in Parlamento nelle file del Pd al
momento del voto. Ma non è la prima volta che accade. Anche nel 2009 il Pd si
scagliò contro il mancato accorpamento di elezioni e referendum. All’epoca,
sempre governo Berlusconi, si chiedeva di unire elezioni europee e referendum
abrogativo sul Porcellum, che la Lega osteggiava in tutte le maniere. Alla fine
non se ne fece nulla, con grande arrabbiatura del Pd. “Si tratta di una scelta
immorale e vergognosa”, tuonava Rosato, sempre lui. “Lanciamo un appello al
premier perché faccia una scelta di buon senso, anche alla luce del terremoto a
L’Aquila”, gli faceva eco Anna Finocchiaro. E riecco Franceschini. “Berlusconi
ci tiene sempre a dimostrare che è lui che comanda, salvo poi piegarsi sempre
ai ricatti di Bossi”, diceva l’allora segretario del Pd, da poco succeduto a
Walter Veltroni.
Tante associazioni contro l’esecutivo
Insomma, andava così. Oggi, i tempi sono cambiati. Se una
scelta la fai tu, va bene, sprechiamo pure 300 milioni. Quando invece la
facevano gli altri, si gridava allo scandalo. Sul fronte della protesta,
intanto, ieri si sono moltiplicati gli appelli di ambientalisti a governo,
Corte Costituzionale e anche al presidente della Repubblica. A Sergio
Mattarella si rivolge direttamente il M5S: “Chiediamo al capo dello Stato di
intervenire affinché si faccia l’election day, sia per garantire il quorum, sia
per far risparmiare 300 milioni di euro”. Tutta una serie di associazioni No
Triv chiedono al presidente della Repubblica di non firmare il decreto del
governo. “Anche perché – sostengono – così facendo gli italiani sarebbero
chiamati alle urne tre volte nel giro di pochi mesi: ad aprile sulle
trivellazioni, a giugno sulle amministrative e a ottobre per il referendum
confermativo sulle riforme costituzionali”. Inizialmente i quesiti referendari
erano sei. Poi, dopo alcune norme approvate nella legge di stabilità, ne è
rimasto in piedi uno solo, mentre su due grava un conflitto di attribuzione. Il
quesito ammesso si pone l’obbiettivo di abrogare la norma che prevede che le
trivellazioni per cui sono già state rilasciate delle concessioni non abbiano
una scadenza. Il referendum vuole invece limitare la durata delle concessioni
alla loro scadenza naturale, ovvero all’esaurimento dei giacimenti. Altri due
quesiti, invece, sono stati dichiarati decaduti dalla Cassazione, ma sei
Regioni hanno presentato un conflitto di attribuzione.
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