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mercoledì 9 settembre 2015

Coldiretti, il nuovo protezionismo : Renzi e Made in Italy

IL NUOVO FRONTE - L’associazione che fu di Aldo Bonomi ha bloccato per tre giorni il Brennero: gli agricoltori in crisi invocano tutele contro mozzarelle polacche o l’olio d’oliva tunisino



Non chiamateci protezionisti”. In Coldiretti non vogliono finire rubricati alla voce “nazionalista” magari un po’ filo-leghista. Per un’organizzazione nata negli anni 50 sotto la grande ala protettiva della Dc, di cui fu un puntello straordinario, il problema non si pone. Non fa nulla se Matteo Salvini li appoggia, qui sembra piuttosto un problema di sopravvivenza. Affrontato con la difesa del Made in Italy vista come un’ancora di salvezza. E trovando in Matteo Renzi, che sarà all’assemblea dell’associazione, una sponda efficace. Il messaggio della tre giorni del Brennero, dove Coldiretti ha manifestato per chiedere la difesa della produzione italiana, è quella delle mozzarelle italiane ma prodotte in Polonia, le cagliate tedesche pronte a diventare formaggi italiani, le verdure provenienti dalla Svezia, lo yogurt della Val Gardena prodotto in Germania. #bastaschifezze, è l’hashtag lanciato su Twitter con un orgoglio che rischia di sfociare nel patriottismo come quando si condannano le sanzioni alla Russia lesive dell’export nostrano. Dell’italianità, Coldiretti ha però fatto un cavallo di battaglia e si dice soddisfatta della risposta del governo che con il ministro Maurizio Martina è corso al Brennero. “Un terzo della produzione complessiva dei prodotti agroalimentari contiene materie prime straniere circa”, dice il presidente Roberto Moncalvo che da giovane voleva liberarsi delle terre di famiglie studiando ingegneria ma che la madre ha inviato proprio in un campo giovani di Coldiretti. Il problema sono i prodotti venduti in Italia ed esportati con il marchio Made in Italy, all’in - saputa dei consumatori. Sul banco degli imputati finisce il “concentrato di pomodoro cinese”, “l’olio di oliva tunisino”, “il riso vietnamita”, offerti al prezzo più basso. L’Italia, invece, ha regole severissime e questo incide sui prezzi. Il prezzo, in effetti è il vero assillo del settore che in Italia è rimasto dominato da imprese medio-piccole che, però, si trovano a confrontarsi con poche aziende grandi che ampliano la quantità di terre coltivate e lavorano su scala più ampia. Nel 2014 si è avuto un forte calo dei prezzi dei prodotti venduti (-3,6%), che ha contribuito, come si legge nel rapporto dell’Istat, “alla contrazione dei redditi agricoli”. E se, nell’insieme della Ue, c’è stato un aumento della produzione agricola del 2,9% con picchi in Francia (+5,4%) e Gran Bretagna (+7,0%), l’Italia si trova insieme a quei paesi, Danimarca, Bulgaria, Ungheria, che hanno registrato i cali produttivi. Il comparto agricolo, nota ancora l’Istat, ha registrato un calo medio annuo dello 0,5% del valore aggiunto nel decennio 2000-2010, mentre tra il 2010 e il 2014 ha presentato una “dinamica altalenante, dovuta anche agli effetti climatici”. Il settore è composto all’86% da imprese piccole con meno di 50 mila euro di fatturato, preoccupate di perdere terreno sul fronte di una globalizzazione “completa” in cui le merci viaggiano alla velocità della luce. Il Made in Italy è dunque una protezione concreta a cui affidare la sopravvivenza del settore che, non potendo comprimere i costi all’inverosimile - e sempre i dati dell’Istat certificano la forte discrepanza tra prezzi, in calo, e costi di produzione, in aumento - punta decisamente sulla “distinguibilità del prodotto”. L’Italia diventa la carta d’identità per reggere all’invasione e parole come “filiera corta” o “produzione a chilometri zero”, gli slogan riconoscibili. Li trovi ovunque, anche in quei negozietti nelle zone di vacanza in cui i presìdi Coldiretti cercano di sposarsi al consumo diretto, con i locali a base di prodotti biologici o dalla tracciabilità certa. Musica per le orecchie di Matteo Renzi che con la Coldiretti condurrà un dibattito all’Expo e che non perde giorno per sottolineare la “bellezza dell’Italia” e dei suoi prodotti. Se l’anno scorso al Brennero c’er a stato posto anche per Giorgia Meloni, quest’anno la foto opportunity” è stata solo quella con il ministro Martina.
La Coldiretti non è dunque più la grande “bonomiana” - dal fondatore Aldo Bonomi - incaricata dalla Dc di allargare le clientele e portare a casa i voti rurali. Non lo è più da tempo, naturalmente. Oggi, dicono nel sindacato contadino, “non siamo più quelli che vanno a lamentarsi, a chiedere i sussidi o gli aiuti di Stato”, la Al confine Gli agricoltori della Coldiretti al Brennero a difesa del Made in Italy contro i prodotti che arrivano dall’estero Ansa protezione passa per la difesa del mercato di qualità. E in quella qualità c’è un lato di innovazione nel cogliere le esigenze dei consumatori ma anche una residua abilità nel corazzarsi contro il mare aperto della globalizzazione. Per resistere nel tempo e presentarsi ancora oggi come “la più grande organizzazione agricola italiana ed europea”, con 1,6 milioni di associati, in gran parte pensionati, 5.668 sezioni comunali, bisogna anche saper praticare l’arte del radicamento sindacale. Coldiretti non manca di strutture collaterali: patronato, Caf, Fondi professionali (For.Agri), Enti bilaterali, Fondo di previdenza (Agrifondo) e dal 2012, Creditagri, la prima banca degli agricoltori abilitata dalla Banca d’Italia. La presiede l’autorevole professor Sabino Cassese e, guarda caso, nel Consiglio di amministrazione siede il segretario generale, Vincenzo Gesmundo. Finito sotto i riflettori dopo che l’Espresso gli aveva fatto i conti in tasca: in undici anni ha guadagnato 10 milioni di euro di cui 2 milioni nel solo 2014. Anche questo è “made in Italy”.

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