IL NUOVO FRONTE - L’associazione che fu di Aldo Bonomi ha bloccato per tre giorni il Brennero: gli agricoltori in crisi invocano tutele contro mozzarelle polacche o l’olio d’oliva tunisino
Non
chiamateci protezionisti”. In Coldiretti non vogliono finire rubricati alla
voce “nazionalista” magari un po’ filo-leghista. Per un’organizzazione nata
negli anni 50 sotto la grande ala protettiva della Dc, di cui fu un puntello
straordinario, il problema non si pone. Non fa nulla se Matteo Salvini li
appoggia, qui sembra piuttosto un problema di sopravvivenza. Affrontato con la
difesa del Made in Italy vista come un’ancora di salvezza. E trovando in Matteo
Renzi, che sarà all’assemblea dell’associazione, una sponda efficace. Il
messaggio della tre giorni del Brennero, dove Coldiretti ha manifestato per
chiedere la difesa della produzione italiana, è quella delle mozzarelle
italiane ma prodotte in Polonia, le cagliate tedesche pronte a diventare
formaggi italiani, le verdure provenienti dalla Svezia, lo yogurt della Val
Gardena prodotto in Germania. #bastaschifezze, è l’hashtag lanciato su Twitter
con un orgoglio che rischia di sfociare nel patriottismo come quando si
condannano le sanzioni alla Russia lesive dell’export nostrano. Dell’italianità,
Coldiretti ha però fatto un cavallo di battaglia e si dice soddisfatta della
risposta del governo che con il ministro Maurizio Martina è corso al Brennero.
“Un terzo della produzione complessiva dei prodotti agroalimentari contiene
materie prime straniere circa”, dice il presidente Roberto Moncalvo che da
giovane voleva liberarsi delle terre di famiglie studiando ingegneria ma che la
madre ha inviato proprio in un campo giovani di Coldiretti. Il problema sono i
prodotti venduti in Italia ed esportati con il marchio Made in Italy, all’in -
saputa dei consumatori. Sul banco degli imputati finisce il “concentrato di
pomodoro cinese”, “l’olio di oliva tunisino”, “il riso vietnamita”, offerti al
prezzo più basso. L’Italia, invece, ha regole severissime e questo incide sui
prezzi. Il prezzo, in effetti è il vero assillo del settore che in Italia è
rimasto dominato da imprese medio-piccole che, però, si trovano a confrontarsi
con poche aziende grandi che ampliano la quantità di terre coltivate e lavorano
su scala più ampia. Nel 2014 si è avuto un forte calo dei prezzi dei prodotti
venduti (-3,6%), che ha contribuito, come si legge nel rapporto dell’Istat,
“alla contrazione dei redditi agricoli”. E se, nell’insieme della Ue, c’è stato
un aumento della produzione agricola del 2,9% con picchi in Francia (+5,4%) e
Gran Bretagna (+7,0%), l’Italia si trova insieme a quei paesi, Danimarca,
Bulgaria, Ungheria, che hanno registrato i cali produttivi. Il comparto
agricolo, nota ancora l’Istat, ha registrato un calo medio annuo dello 0,5% del
valore aggiunto nel decennio 2000-2010, mentre tra il 2010 e il 2014 ha
presentato una “dinamica altalenante, dovuta anche agli effetti climatici”. Il
settore è composto all’86% da imprese piccole con meno di 50 mila euro di
fatturato, preoccupate di perdere terreno sul fronte di una globalizzazione
“completa” in cui le merci viaggiano alla velocità della luce. Il Made in Italy
è dunque una protezione concreta a cui affidare la sopravvivenza del settore
che, non potendo comprimere i costi all’inverosimile - e sempre i dati dell’Istat
certificano la forte discrepanza tra prezzi, in calo, e costi di produzione, in
aumento - punta decisamente sulla “distinguibilità del prodotto”. L’Italia
diventa la carta d’identità per reggere all’invasione e parole come “filiera
corta” o “produzione a chilometri zero”, gli slogan riconoscibili. Li trovi
ovunque, anche in quei negozietti nelle zone di vacanza in cui i presìdi
Coldiretti cercano di sposarsi al consumo diretto, con i locali a base di
prodotti biologici o dalla tracciabilità certa. Musica per le orecchie di Matteo
Renzi che con la Coldiretti condurrà un dibattito all’Expo e che non perde
giorno per sottolineare la “bellezza dell’Italia” e dei suoi prodotti. Se l’anno
scorso al Brennero c’er a stato posto anche per Giorgia Meloni, quest’anno la
foto opportunity” è stata solo quella con il ministro Martina.
La Coldiretti
non è dunque più la grande “bonomiana” - dal fondatore Aldo Bonomi - incaricata
dalla Dc di allargare le clientele e portare a casa i voti rurali. Non lo è più
da tempo, naturalmente. Oggi, dicono nel sindacato contadino, “non siamo più
quelli che vanno a lamentarsi, a chiedere i sussidi o gli aiuti di Stato”, la
Al confine Gli agricoltori della Coldiretti al Brennero a difesa del Made in
Italy contro i prodotti che arrivano dall’estero Ansa protezione passa per la
difesa del mercato di qualità. E in quella qualità c’è un lato di innovazione
nel cogliere le esigenze dei consumatori ma anche una residua abilità nel
corazzarsi contro il mare aperto della globalizzazione. Per resistere nel tempo
e presentarsi ancora oggi come “la più grande organizzazione agricola italiana
ed europea”, con 1,6 milioni di associati, in gran parte pensionati, 5.668
sezioni comunali, bisogna anche saper praticare l’arte del radicamento
sindacale. Coldiretti non manca di strutture collaterali: patronato, Caf, Fondi
professionali (For.Agri), Enti bilaterali, Fondo di previdenza (Agrifondo) e
dal 2012, Creditagri, la prima banca degli agricoltori abilitata dalla Banca
d’Italia. La presiede l’autorevole professor Sabino Cassese e, guarda caso, nel
Consiglio di amministrazione siede il segretario generale, Vincenzo Gesmundo.
Finito sotto i riflettori dopo che l’Espresso gli aveva fatto i conti in tasca:
in undici anni ha guadagnato 10 milioni di euro di cui 2 milioni nel solo 2014.
Anche questo è “made in Italy”.
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