Disboscamento e grassi saturi: tutta la verità sull’olio di
palma
La guerra dell'#oliodipalma s'infiamma. Alle campagne di
boicottaggio lanciate da mesi su Facebook da utenti convinti di combattere un
prodotto tossico e cancerogeno hanno risposto le aziende che lo utilizzano come
ingrediente per biscotti, creme, gelati, pane in cassetta, crakers, shampoo,
saponi e tanto altro. Multinazionali di peso, come Ferrero, Unilever, Nestlé,
Unigrà e Assitol (che trasformano e producono oli e grassi), Aidepi e Aiipa,
tutti uniti sotto l'insegna dell'Unione italiana dell'olio di palma sostenibile
hanno lanciato su giornali e tv una campagna promozionale milionaria, per
spiegare cos'è l'olio di palma e perché quello "sostenibile" sia
migliore. Le polemiche montano. Gli spot pro olio di palma hanno
provocato reazioni anche in Parlamento e il M5S ha presentato un'interrogazione
parlamentare in Commissione Vigilanza Rai e una segnalazione all'Agcom: “Quello
andato in onda è uno spot evidentemente ingannevole perché fornisce
informazioni scorrette ai cittadini”. Ma qual è la verità? L'olio di palma fa
male o no alla salute? E perché distruggerebbe l'ambiente? La rassicurazione
sull'assenza di rischi arriva dall'Istituto superiore di sanità. Secondo i suoi
esperti, l'olio di palma non è né tossico né velenoso, ma poiché contiene acidi
grassi saturi, come latte, uova e carne, e ne contiene tanti - l'equivalente
del 50% del suo peso come il burro - è un ingrediente che va consumato con
moderazione. Un uso eccessivo di grassi saturi, infatti, fa aumentare la
quantità di colesterolo nel sangue ed è associato a un rischio maggiore di
malattie cardiovascolari. In effetti, le linee guida del NutCrea (Centro di
ricerca per gli alimenti e la nutrizione) suggeriscono di consumare una
quantità di grassi saturi che non superi il 7-10% dell'apporto calorico
giornaliero: da 15 a 20 grammi al giorno per un adulto che consuma circa 2.000
calorie. Secondo le ultime stime dell'Iss, però, noi italiani di grassi saturi
ne mangiamo troppi: la popolazione adulta ne assume in media 27 grammi al
giorno, mentre i bambini tra i 3 e i 10 anni tra i 24 e i 27. Ma che c'entra
l'olio di palma, se noi mangiamo male? Il problema è che sta un po' dappertutto
e per il consumatore risulta difficile rendersene conto. L'industria alimentare
ne utilizza grandi quantità per il costo contenuto e le caratteristiche: ha
giusta densità; è molto stabile; una volta purificato, cioè trattato
chimicamente, è inodore, incolore e insapore. Di sicuro non è un alimento dal
corretto apporto nutrizionale, ma nessuno mangiando la Nutella pensa di
consumare vitamine e antiossidanti. L'olio di palma è contenuto per lo più in
alimenti industriali e golosi che tutti dovremmo mangiare meno, a maggior
ragione obesi, diabetici e bambini. Ma non per questo può essere bandito dal
mercato.
Altra storia, invece, è quella che lega la coltivazione
massiccia di palme da olio al rischio ambientale. I grassi ricavati da queste
piante rappresentano il 32% della produzione mondiale. Sono utilizzati anche
come biogas. I maggiori produttori risiedono in Indonesia e Malesia, e
l'assenza di controlli permette a chi è senza scrupoli di mandare in fumo
migliaia di ettari di foresta per aumentare l'estensione dei terreni
coltivabili. “Noi non vogliamo boicottare l'olio di palma –spiega Martina
Borghi di Greenpeace Italia – ma vogliamo spingere le aziende a produrre in
modo responsabile e sostenibile”. E aggiunge: “Le certificazione di
sostenibilità non sono tutte uguali. La più vecchia Rspo, per esempio, per noi
non ha alcun valore, perché non ha aggiornato le regole di controllo e non
prevede l'intervento di enti terzi”. Greenpeace negli ultimi mesi ha messo alla
prova le multinazionali che in passato hanno annunciato di voler adottare
politiche contro la deforestazione. A oggi, però, solo un'azienda ha compiuto
effettivi progressi verso la trasparenza e a sostegno dei fornitori più
corretti: l'italiana Ferrero. Colgate-Palmolive, Johnson & Johnson e
PepsiCo restano tra i peggiori, nonostante tanti buoni propositi.
Barbara Cataldi – Il Fatto Quotidiano – 26 marzo 2016, pag.
17
Nessun commento:
Posta un commento