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DI BATTISTA - 11.05.2016 OTTOEMEZZO

11.05.2016 - ALFONSO BONAFEDE (M5S) Unioni civili: tutta la verità in faccia al governo

sabato 26 marzo 2016

Frutto della discordia - Per l’Istituto superiore di Sanità non è nocivo, ma un uso eccessivo fa male. Ed è contenuto in moltissimi prodotti

Disboscamento e grassi saturi: tutta la verità sull’olio di palma
La guerra dell'#oliodipalma s'infiamma. Alle campagne di boicottaggio lanciate da mesi su Facebook da utenti convinti di combattere un prodotto tossico e cancerogeno hanno risposto le aziende che lo utilizzano come ingrediente per biscotti, creme, gelati, pane in cassetta, crakers, shampoo, saponi e tanto altro. Multinazionali di peso, come Ferrero, Unilever, Nestlé, Unigrà e Assitol (che trasformano e producono oli e grassi), Aidepi e Aiipa, tutti uniti sotto l'insegna dell'Unione italiana dell'olio di palma sostenibile hanno lanciato su giornali e tv una campagna promozionale milionaria, per spiegare cos'è l'olio di palma e perché quello "sostenibile" sia migliore. Le polemiche montano. Gli spot pro olio di palma hanno provocato reazioni anche in Parlamento e il M5S ha presentato un'interrogazione parlamentare in Commissione Vigilanza Rai e una segnalazione all'Agcom: “Quello andato in onda è uno spot evidentemente ingannevole perché fornisce informazioni scorrette ai cittadini”. Ma qual è la verità? L'olio di palma fa male o no alla salute? E perché distruggerebbe l'ambiente? La rassicurazione sull'assenza di rischi arriva dall'Istituto superiore di sanità. Secondo i suoi esperti, l'olio di palma non è né tossico né velenoso, ma poiché contiene acidi grassi saturi, come latte, uova e carne, e ne contiene tanti - l'equivalente del 50% del suo peso come il burro - è un ingrediente che va consumato con moderazione. Un uso eccessivo di grassi saturi, infatti, fa aumentare la quantità di colesterolo nel sangue ed è associato a un rischio maggiore di malattie cardiovascolari. In effetti, le linee guida del NutCrea (Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione) suggeriscono di consumare una quantità di grassi saturi che non superi il 7-10% dell'apporto calorico giornaliero: da 15 a 20 grammi al giorno per un adulto che consuma circa 2.000 calorie. Secondo le ultime stime dell'Iss, però, noi italiani di grassi saturi ne mangiamo troppi: la popolazione adulta ne assume in media 27 grammi al giorno, mentre i bambini tra i 3 e i 10 anni tra i 24 e i 27. Ma che c'entra l'olio di palma, se noi mangiamo male? Il problema è che sta un po' dappertutto e per il consumatore risulta difficile rendersene conto. L'industria alimentare ne utilizza grandi quantità per il costo contenuto e le caratteristiche: ha giusta densità; è molto stabile; una volta purificato, cioè trattato chimicamente, è inodore, incolore e insapore. Di sicuro non è un alimento dal corretto apporto nutrizionale, ma nessuno mangiando la Nutella pensa di consumare vitamine e antiossidanti. L'olio di palma è contenuto per lo più in alimenti industriali e golosi che tutti dovremmo mangiare meno, a maggior ragione obesi, diabetici e bambini. Ma non per questo può essere bandito dal mercato.
Altra storia, invece, è quella che lega la coltivazione massiccia di palme da olio al rischio ambientale. I grassi ricavati da queste piante rappresentano il 32% della produzione mondiale. Sono utilizzati anche come biogas. I maggiori produttori risiedono in Indonesia e Malesia, e l'assenza di controlli permette a chi è senza scrupoli di mandare in fumo migliaia di ettari di foresta per aumentare l'estensione dei terreni coltivabili. “Noi non vogliamo boicottare l'olio di palma –spiega Martina Borghi di Greenpeace Italia – ma vogliamo spingere le aziende a produrre in modo responsabile e sostenibile”. E aggiunge: “Le certificazione di sostenibilità non sono tutte uguali. La più vecchia Rspo, per esempio, per noi non ha alcun valore, perché non ha aggiornato le regole di controllo e non prevede l'intervento di enti terzi”. Greenpeace negli ultimi mesi ha messo alla prova le multinazionali che in passato hanno annunciato di voler adottare politiche contro la deforestazione. A oggi, però, solo un'azienda ha compiuto effettivi progressi verso la trasparenza e a sostegno dei fornitori più corretti: l'italiana Ferrero. Colgate-Palmolive, Johnson & Johnson e PepsiCo restano tra i peggiori, nonostante tanti buoni propositi.
Barbara Cataldi – Il Fatto Quotidiano – 26 marzo 2016, pag. 17

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