LA SANATORIA
Per la legge Letta avrebbero dovuto
prima
rendere trasparenti i bilanci.
Al primo voto dopo le ferie, però, ecco il blitz
del Pd
(e di tutti gli altri tranne M5S): i controlli solo in futuro
Il verdetto arriva sotto una pioggia di banconote da 500
euro. Cala dagli spalti che sovrastano l’emiciclo di Montecitorio al grido di
“vergogna, vergogna” mentre il tabellone segna 319 sì, 88 no (il M5S) e 27
astenuti (Sel). Mercoledì 9 settembre, primo vero giorno di lavori d’aula ,
primo disegno di legge discusso e la Camera viene incontro a larga maggioranza
al lamento disperato dei tesorieri dei partiti: i vecchi bilanci sono
incontrollabili, ma avranno lo stesso il rimborso elettorale, un malloppo da
milioni di euro (45 sulla carta, secondo i pentastellati, ma solo 20
contabilizzati quest’anno dai partiti) da spartire in base ai voti ricevuti.
L’ultimo rimasuglio, si fa per dire, del finanziamento pubblico che almeno fino
al prossimo anno garantirà la sopravvivenza dei partiti. Una sanatoria, chiesta
e ottenuta dai responsabili delle disastrate casse dei partiti, e contestata
ferocemente dai 5Stelle. Il testo è a firma Pd, presentato dall’ex Sel (ora
democrat) Sergio Boccadutri. Qualche pagina, tre articoli, e un’approvazione
lampo. La palla passa ora al Senato: entro un paio di settimane la partita si
chiude, altrimenti i bilanci 2015 segneranno deficit da bancarotta. Premessa:
un decreto voluto dal governo Letta (e convertito quando a Palazzo Chigi sedeva
Matteo Renzi) ha stabilito che a partire dal 2017 i partiti dovranno fare
affidamento solo sul due per mille e sui contributi dei privarti (le
“erogazioni liberali”). Fino a quel momento, però, la flebo del finanziamento
pubblico resta (M5S escluso, perché vi ha rinunciato) seppure con un decalage
del 50% nel 2015 (45 milioni) e del 75% nel 2016 (22 milioni).
E veniamo a quest’anno. La rata è scaduta nel luglio scorso,
ma i soldi sono rimasti nei conti delle Camere perché la Commissione di
garanzia, controllo e trasparenza sui bilanci - prevista dalla legge - e
presieduta dal magistrato contabile Luciano Calamaro non ha potuto bollinare i
rendiconti del 2013 inviati dai tesorieri. Il motivo è semplice: la mole di
dati è enorme, tenuto conto che si tratta di 48 partiti, e le risorse a
disposizione scarse: 5 persone, senza stipendio aggiuntivo e per di più in carica
da marzo, visto che i precedenti membri si sono dimessi a ottobre 2014.
Riassunto: il 30 giugno scorso la Commissione ha alzato le mani e comunicato
alle presidenze di Camera e Senato che senza personale in più non se ne faceva
nulla. Invano Grasso e Boldrini hanno invitato i partiti a dotare la struttura
del personale tecnico necessario. Il dibattito è finito in un nulla di fatto, o
meglio, si è affidato a due parlamentari - Gianni Melilla per la Camera, e
Antonio De Poli per il Senato - il compito di verificare le conseguenze
giuridiche di una forzatura: dare lo stesso i soldi ai partiti senza l’ok della
Commissione. Il verdetto è arrivato pochi giorni dopo, durissimo: “Non è
possibile - si legge nella missiva spedita ai due presidenti - anche perché i rendiconti
potrebbero alla fine risultare irregolari”. Tradotto: i soldi restano bloccati.
E qui si è deciso l’accrocchio: Boccadutri presenta un testo
per dotare la Commissione di altre 4 unità, ma nella distrazione generale, a
luglio una sconosciuta deputata Pd siciliana, Teresa Piccione, infila un
emendamento - col beneplacito del relatore - che invece è una vera e propria
sanatoria. Cosa dice? Che le novità sui controlli previsti dalla nuova legge,
partiranno nel 2015. Per il 2013-2014 non se ne farà nulla. Niente verifica
dettagliata spesa per spesa, cioè tra entrate e uscite con le singole voci,
insomma, con gli scontrini alla mano. Quello che per la commissione era il
fiore all’occhiello, previsto dalla legge Letta in aggiunta al semplice
controllo di regolarità dei bilanci presentati dai partiti fatto finora. Il
testo approvato ieri alla Camera, invece, prevede che resti solo quest’ultimo,
e che quello sui bilanci 2013 vada consegnato entro 30 giorni dall’entrata in
vigore delle nuove norme. In caso di irregolarità, scattano le sanzioni (che
possono andare fino a due terzi della tranche spettante). Ma con il vecchio
sistema non è mai successo. Non solo, la Commissione dovrebbe fare in un mese e
mezzo quello che non ha fatto in quattro. E se non ce la fa, finisce tutto in
un condono. Scenario non improbabile, considerato che per settimane questori e
Commissione hanno litigato perfino su dove sistemare le decine di scatoloni con
i dati delle 48 sigle. D’altronde, che i partiti abbiano un bisogno disperato
di quei soldi lo si vede dai bilanci 2014, per gran parte in deficit. La
boccata d’ossigeno, stando alle delibere approvate dalle Camere, intanto
frutterà al Pd circa 8 milioni, 1,1 a Lega e Scelta Civica, 6 a Forza Italia e
700 mila euro a Sel.
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