Energia, lo scontro che può costare 100 milioni alla PA
Il braccio di ferro è tale che l’esito sarà questo: dal
primo novembre alla pubblica amministrazione verrà tolta la corrente. Non per
morosità, ma perché il fornitore, dissanguato, ha deciso che così non può andare
avanti. L’effetto sarà che per continuare a tenere la luce accesa nei municipi,
nelle scuole o negli ospedali si spenderà di più. Molto di più: un aggravio che
potrebbe sfiorare i 100 milioni per i prossimi due mesi. Per quanto
incredibile, succederà. E il motivo è semplice: la Consip, l'organismo che
bandisce le gare per la Pa e fa da acquirente unico in grado di spuntare prezzi
“convenzionati” più bassi, ne ha spuntato uno che si sta rivelando davvero
troppo basso, insostenibile per il fornitore, la Gala spa, azienda romana
quotata in Borsa, che negli ultimi sei mesi ha perso il 53% a Piazza Affari: è
costretta a comprare a 50-60 e rivendere a 35. Ma Consip a tornare indietro non
ci pensa proprio. E mercoledì lo ha messo nero su bianco in una missiva spedita
alla società. La storia è sintomatica dei meccanismi perversi a cui si può impiccare
la burocrazia. Finora la Pa si è rifornita di energia a prezzi da discount:
35-40 euro per mille chilowattora, contro i 50-60 del prezzo all’ingrosso. È
l’effetto della gara partita un anno fa e vinta da Gala. Il bando Consip -
valore 915 milioni - doveva fornire 5,7 miliardi di chilowattora alle
amministrazioni pubbliche, con “un’opportunità di risparmio di 370 milioni”,
spiegava Consip.
Il problema
è che il prezzo, nel bando, veniva agganciato non a quello medio negoziato alla
borsa elettrica, ma al solo andamento del Brent, il petrolio. Che da giugno
2014 (quando i concorrenti depositavano le offerte) è crollato: da 111 dollari
ai 48 di gennaio scorso. Gala ha così dovuto vendere a prezzi bassissimi,
perdendo 7 milioni al mese, 47 solo fino a luglio scorso, quando comprava a
57,77 euro, e doveva rivendere tra i 36 e i 48. Di fronte a questi prezzi, le
amministrazioni si sono fiondate a capofitto, facendo registrare il record: ad
agosto gli ordini di fornitura erano 1.975. In due lotti si sono raggiunti i
massimi vendibili. Già a dicembre, il prezzo del Brent era sceso a 48 dollari.
A quel punto Gala ha chiesto a Consip di “ricondurre a equità il contratto”,
cioè di rivedere i prezzi per evitare il tracollo e “l’indebito arricchimento” da
parte delle amministrazioni. Nulla da fare. La società si è rivolta allora alla
giustizia amministrativa, ma sia il Tar del Lazio che il Consiglio di Stato
hanno respinto la richiesta, perché non competenti in materia. Il 30 aprile il
rating della società è stato declassato. Il 22 Gala era andata in tribunale,
chiedendo un ricorso cautelare d’urgenza e, in subordine, la cessazione delle
convenzioni. Proprio quest’ultimo elemento, ad agosto - ben tre mesi dopo - ha
spinto i giudici a rigettare l’istanza senza entrare nel merito: se vuoi
bloccare il contratto non hai urgenza. Gala ha perso anche il ricorso. A quel
punto l’ad, Filippo Tortorello, ha scritto una lettera infuocata a Consip e
Corte dei Conti: se vinciamo si rischiano risarcimenti milionari. Per evitare
il contenzioso ha prospettato la via d’uscita: Consip, a partire da luglio,
agganci il prezzo a quello della borsa elettrica staccandolo dal Brent. Cioè
quello che Consip - consapevole de ll ’insostenibilità della misura - ha fatto
per il nuovo bando di gara 2016, chiudendo con il vecchio sistema dopo anni. La
risposta è arrivata mercoledì: scordatevelo, e se Gala stacca la spina, perderà
le fideiussioni. Che però valgono 28 milioni, meno di quanto la società ha già
perso e perderà. A novembre - stando a quanto risulta al Fatto - sarà blackout.
La Pa, però, non finirà al buio, ma nel mercato di salvaguardia, dove i prezzi sono molto più alti: gli
costerà quasi 100 milioni in più.
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