La trattativa a MiamiGli Usa chiedono di rimediare alla sentenza europeasulla privacy contro Google e Facebook
La sentenza della Corte di Giustizia europea che vieta a
Facebook, Amazon e agli altri giganti del web di portare negli Stati Uniti i
dati raccolti in Europa sta complicando il percorso del Ttip, il trattato di
libero scambio transatlantico. Mercoledì prossimo, a Miami, si apre il nuovo
ciclo di un negoziato iniziato nell’estate 2013 e che adesso potrebbe
accelerare. Le condizioni ci sono: gli Stati Uniti hanno appena chiuso l’accordo
Tpp, la partnership commerciale con le principali economie asiatiche (Cina
esclusa). E adesso possono dedicarsi al Ttip, quello con l’Europa, il
presidente Barack Obama vorrebbe chiudere prima della fine del suo mandato, a
novembre 2016. Il Ttip interviene sulle barriere non tariffarie: l’esempio che
usano a Bruxelles è quello delle ostriche, che non si possono esportare dall
’Europa negli Usa perché là i test sanitari si fanno sull’acqua
dell’allevamento, qui sul mollusco. Basta un dettaglio come questo e milioni di
potenziali scambi si bloccano. Secondo stime assai vaghe, il Ttip potrebbe
aggiungere mezzo punto di Pil all’anno all’Europa. Cinque giorni fa, 150 mila
persone hanno protestato a Berlino contro il Ttip: per i tanti segreti dei
negoziati e per novità dall’impatto incerto, come la possibilità delle
multinazionali di risolvere con arbitrati privati i loro contenziosi con gli
Stati membri dell’Unione (il meccanismo si chiama Isds). Gli americani sono
abbastanza ottimisti, a Bruxelles l’ambasciatore è Anthony Gardner, che ha
anche la cittadinanza italiana e che lavora molto per il Ttip. Ma a Washington
i negoziatori devono ottenere due obiettivi o i negoziati di Miami si
bloccheranno. Primo: vogliono che l’Europa faccia più concessioni alle quote di
importazione nell’agricoltura e soprattutto sulla carne. Gli anti-Ttip dicono
che questo è un modo per far arrivare in Europa più prodotti Ogm, formalmente
fuori dal negoziato Ttip. Paolo De Castro, eurodeputato del Pd che segue il
dossier, replica che già ora l’Ue importa il 90% della soia da cui derivano i
mangimi animali, e quasi tutta è soia Ogm, dagli Usa e dal Brasile. “Difficile
che possano arrivare più Ogm di così”, nota De Castro. Più concreta la seconda
priorità americana. Il 6 ottobre, la Corte di Giustizia dell’Ue ha stabilito
che Facebook e gli altri giganti del web non possono mandare negli Stati Uniti
i dati dei loro utenti perché, sul suolo americano, le imprese statunitensi
sono tenute a non applicare le tutele previste dagli standard europei quando il
governo di Washington o le sue agenzie di sicurezza lo chiedono. È un danno
enorme per aziende che si reggono proprio sull’accesso ai dati dei loro utenti.
Per questo, nei corridoi di Bruxelles è ormai chiaro che gli americani faranno
passi avanti sul Ttip soltanto se dal lato europeo ci saranno concessioni sul
“flusso dei dati”. Le grandi banche europee osservano con interesse: ormai i
loro veri avversari sono Google, Facebook e Amazon, spostare denaro equivale a
spostare dati. Nei giorni scorsi una delegazione delle sette principali banche
inglesi è andata a Bruxelles per incontrare alcuni parlamentari. Il loro futuro
dipende anche dall’esito del Ttip.
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