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giovedì 8 ottobre 2015

Notizie sulla gita dei nostri aerei in Iraq

CARO FURIO COLOMBO, qualcuno mi spiega la storia dei bombardamenti che, improvvisamente, siamo incaricati di fare in Iraq per contribuire alla pace nel mondo? Devo avere perso il filo, ma non lo trovo nella lista delle riforme.
Daniele

La spiegazione è facile e difficile (la parola giusta è impossibile). Facile perché siamo alleati sia con la Russia che con gli Stati Uniti, e dunque nemici di tutti i loro nemici (che non sono pochi), se è così, basta un segno per mobilitarci. Eccoci pronti, non si capisce se delusi o contenti che siano solo quattro gli aerei, richiesti per bombardare tutto ciò che è ancora bombardabile nell’ex Iraq. Dice la ministro della Difesa Pinotti: “Valutiamo i raid, servirà un vaglio parlamentare (Corriere della Sera, 7 ottobre ). “Valutare” vuol dire avviare una cosa già decisa, scegliere uomini, mezzi, logistica e coordinamento con i compagni di gita. Il “vaglio parlamentare” è un modo per mostrare rispetto alle istituzioni, che avranno le loro due ore per parlare e dire che va bene, senza mettersi in testa di causare disordine in progetti già messi a punto. Il quando tutto ciò sia stato messo a punto, il suo senso, la sua utilità, il suo costo, il suo perché, di cui non sappiamo nulla, fa venire in mente quella ripetuta proposta dei Radicali di affermare che i cittadini hanno un “diritto alla conoscenza” su ciò che decide o cambia i destini di tutti. È un diritto primo e fondamentale per garantire tutti gli altri diritti, umani e civili di ognuno. Ma simili affermazioni, compaiono, se compaiono, nelle “brevi” sui convegni. Invece la Pinotti, da adulta senza illusioni, sta già lavorando, si volta solo per dire il necessario: già deciso, tutto a posto, adesso gli dà un’occhiata il Parlamento, poi partiamo. Naturalmente il senso, il peso, le conseguenze di quei quattro robusti aerei da combattimento che stiamo mandando in gara sono enormi, per la vita degli altri e per la nostra, ma anche per la definizione di chi siamo e cosa vogliamo (ovvero il nostro interesse nazionale e la nostra politica). Certo, per non far perdere tempo alla strategica riforma del Senato che, su richiesta (ci dicono) degli italiani, sta bloccando la nostra attenzione sul mondo, nessuno ha parlato o discusso in pubblico di “missione di guerra”, di decisione dell’Italia, e del quando chi ha detto a chi che ci dobbiamo, senza tanti annunci, entrare in guerra. O eravamo già in guerra ma non sembrava il caso di discuterne in pubblico? Forse il torto è nostro. Non avevamo preso sul serio (cioè giudicato un pericolo) Renzi quando continuava a ripetere che lui avrebbe manomesso radicalmente la Costituzione, e, come mostra la fine del Senato, è stato un errore. E non avevamo preso sul serio la storia della spedizione militare in Libia a guida italiana, che è guerra, pensando a un'altra (e frequente) esondazione di retorica fiorentina. Invece, apprendiamo ora, questo è il nostro modo di passare sotto il filo spinato della politica degli adulti, e andare a volare nei cieli della gloria mentre il diritto alla conoscenza degli italiani è al grado zero.
Furio Colombo - il Fatto Quotidiano
00193 Roma, via Valadier n° 42

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