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sabato 3 ottobre 2015

Sprechi e attese infinite I tagli alla Sanità uccidono

Storie italiane: dal bimbo morto perché mancano le culle ai software non utilizzati


Numeri e statistiche vanno bene per la politica, ma la sanità è soprattutto vita reale, sofferenza, attesa, a volte rabbia, spesso disperazione. Sì perché i tagli al Servizio sanitario che siano di due miliardi o anche di meno o di più, sono affare del governo. Renzi dovrà valutare e decidere. Senza dimenticare il conto drammatico della quotidianità dei cittadini. Senza dimenticare, ad esempio, che in Italia, proprio a causa dei tagli, un neonato può morire.
È successo in Sicilia con la piccola Nicole venuta al mondo da appena tre ore e colta da una grave crisi respiratoria. Inutile portarla all’unità intensiva dell’ospedale di Catania. Non c’è posto. I tagli hanno ridotto le culle. Si opta per Ragusa. Che sta a 100 chilometri, tre ore di viaggio. Risultato: Nicole morirà in ambulanza. Storie estreme. Dalla Sicilia all’Umbria, dove un bimbo di sette mesi ha perso la vita per una forma di cardiopatia. Poteva essere curato. Peccato che il Cup (Centro unico di prenotazioni) abbia fissato la visita non prima di sette mesi. Troppo tempo, il piccolo morirà prima. Eppure, senza addentrarsi in vicende drammatiche, dal Nord al Sud del Paese si sprecano i casi in cui la riduzione della spesa sanitaria influisce e non poco sulla vita dei cittadini. Le liste d’attesa eterne sono un nodo centrale. “Col - pisce – spiega Tonino Aceti coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato – come all'interno delle misure annunciate dal ministero della Salute sulla inappropriata non venga affrontato ancora una volta il nodo delle liste di attesa interminabili, anche di oltre un anno. Questa agli occhi dei cittadini è la peggiore forma di inappropriata vissuta ogni giorno sulla propria pelle, insieme alla necessità di ricorre al privato”. Non a caso, l’ultima ricerca del Censis chiarisce che la spesa sanitaria privata degli italiani è aumentata del 3% dal 2007 al 2013 con un tesoretto totale di 26,9 miliardi di euro. Il dato si spiega con la necessità, sempre più sentita, di ridurre i tempi d’attesa.
Qualche esempio: una risonanza magnetica nel pubblico costa 49 euro con tempi di attesa di 68 giorni, nel privato si paga 149 euro ma si aspettano 5 giorni. Per un’ecografia all'addome il Servizio sanitario chiede 53 euro e 65 giorni.
Il privato riduce a 6 i giorni con un costo di 113 euro. Cifre e storie. Come quella di Francesca, giovane mamma romana di una bimba di pochi mesi. Mamma felice oggi. Anche se durante la gravidanza è stata vittima dell’ennesimo cortocircuito. E così quando si è presentata per prenotare un’ecografia ostetrica, che dovrebbe essere garantita entro la tredicesima settima, si è sentita rispondere che il primo posto libero era dopo sette mesi. Praticamente dopo il parto. Racconta, invece, un altro cittadino romano: “Ho telefonato il primo ottobre 2015 al Cup della Regione Lazio per prenotare una colonscopia per mia moglie: prima data utile, settembre 2016. Se avessi voluto, in intramoenia, la prima data utile sarebbe stata il 13 ottobre, però 2015. Ogni commento è superfluo”.

Accorciare i tempi appare dunque una priorità. Non sempre, però, gli strumenti adottati dalla sanità, spendendo anche molto denaro, funzionano. Ad Avellino, ad esempio, esiste un software che regola ricoveri, degenze e cartelle cliniche. La struttura sanitaria solo di assistenza spende 150 mila euro all’anno. “E nonostante questo –spiega un impiegato – la cartella clinica del degente, che si richiede alla Struttura, assomiglia più a una risma di carta A4, che a un file consultabile online. E non ricordo che sia stata mai fatta una gara di appalto pubblica per l’acquisto del software ”. Storie all’italiana . Da Avellino a Palermo, dove prenotare una visita telefonicamente è un’impresa. Venti minuti di attesa e poi casca la linea. I centralinisti sono 24 ma sembra non bastare per fronteggiare 5.000 telefonate al giorno per un massimo di 2.300 prenotazioni. Vita reale. Al di là di cifre e statistiche. Di “tagli lineari” o “fatti con il bisturi” come dice il ministro della Salute Beatrice Lorenzin

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