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DI BATTISTA - 11.05.2016 OTTOEMEZZO

11.05.2016 - ALFONSO BONAFEDE (M5S) Unioni civili: tutta la verità in faccia al governo

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venerdì 18 marzo 2016

Trivelle, il Pd si astiene. È contro le sue Regioni Serracchiani e Guerini: “È inutile”. Minoranza Dem e ambientalisti in rivolta

Perché un partito che porta nel proprio nome il richiamo alla sovranità popolare svilisce così gravemente un istituto fondamentale di democrazia diretta come il referendum? Per una forza nata in risposta al crollo della prima Repubblica, riecheggiare il Craxi che invitava gli italiani ad andare al mare invece di votare non mi pare un bel traguardo”. Domanda e osservazioni sono legittime, poste da Andrea Boraschi, responsabile della campagna clima ed energia di Greenpeace, il primo ad accorgersi della presenza del Partito democratico tra i soggetti politici favorevoli all’astensione per il referendum del 17 aprile. In effetti, nella giornata di ieri, dentro e fuori dal Pd di democratico c’è stato ben poco. Dentro, perché la decisione di schierarsi per l’astensione non è stata discussa in assemblea né tantomeno era prevista nell’ordine del giorno della direzione nazionale di lunedì prossimo (“analisi della situazione economica, ratifica commissariamento Pd provinciale di Caserta, varie ed eventuali” i punti all’ordine del giorno). Fuori, perché per molti parlamentari dem istigare ad astenersi dal confronto elettorale, nato poi dalla legittima richiesta di nove consigli regionali come previsto dalla Costituzione (ne basterebbero cinque) è un atto “fortemente antidemocratico”.
Una cosa è certa: il referendum sulle trivelle sta spaccando il Pd più di quanto non lo sia già. Fratture tra maggioranza e minoranza, tra Roma e Regioni, tra elettori e rappresentanti. Ieri, per tutta la giornata, nelle stanze di governo un po’ tutti chiedevano spiegazioni su quella parola, “astensione”, segnata nell’area Par Condicio dell’Agcom: dai civatiani a Sinistra Italiana, da Roberto Speranza ai parlamentari dem – passando per Stumpo, Cuperlo e Gotor – da Legambiente ai Verdi e fino ai Cinque Stelle (che hanno anche scritto al direttore editoriale Rai Verdelli per segnalare la criticità dell’informazione sul referendum). Finalmente, un segno di vita nel pomeriggio. A rispondere, i vicesegretari del partito Debora Serracchiani e Lorenzo Guerini: quello sulle trivellazioni è un referendum “inutile”, la decisione l’hanno presa loro “come vicesegretari”, e lunedì “sarà ratificata durante la direzione”. Poi, il colpo basso della spesa, quei 300 milioni di euro che si spenderanno per la consultazione e che sarebbero potuti essere destinati ad “asili nido, a scuole, alla sicurezza, all’ambiente”. Ma che, è stata la pronta risposta trasversale, si sarebbe potuto evitare di spendere con un election day (ci vorrebbe un decreto legge ad hoc, aveva detto Alfano durante un question time in Parlamento a febbraio) e che in tanti hanno chiesto per settimane ricordando come, nel 2009, fossero state uniti i ballottaggi delle amministrative al referendum in materia elettorale. “Per evitare i costi del referendum, sarebbe bastato indirlo nella stessa data delle elezioni amministrative”, ha detto il governatore della Puglia Michele Emiliano (Pd), che nella sua replica ha sottolineato come le Regioni –sette su nove targate Pd – avessero in origine provato a mediare più volte con il governo sul tema trivellazioni, ricevendo come risposta una comunicazione del sottosegretario Vicari: il governo semplicemente non voleva incontrarle. “Se il governo avesse voluto discutere, avremmo potuto certamente evitare il referendum sin dall’inizio”. Conferma del fatto che l’obiettivo è, prima di tutto, togliere potere decisionale alle Regioni in tema ambientale. Come per gli inceneritori.
Tra le motivazioni di Guerini e Serracchiani, quella dei presunti posti di lavoro che si perderebbero se il referendum dovesse abrogare la legge dello Sblocca Italia, che estende le concessioni fino all’esaurimento del giacimento. Una prima risposta era già arrivata dai comitati No Triv: la prima concessione entro le 12 miglia scadrà tra almeno cinque anni e molte hanno ancora diverse proroghe di cui godere (il referendum chiede che non siano rinnovate alla loro scadenza). Emiliano è stato ancora più preciso. “Ho sentito questa affermazione erronea anche dal Segretario nazionale del partito durante una lezione alla scuola di formazione politica del Pd”, ha detto prima di spiegare che, in caso di abrogazione, tornerebbe in vigore la norma precedente (legge 9/91) che non ha mai determinato licenziamenti e che confermerebbe l’iter secondo cui il permesso di estrazione degli idrocarburi dura trent’anni, prorogabili per dieci anni e poi all'infinito di cinque anni in cinque anni senza alcuna interruzione della attività estrattiva. “Un sistema con processi di verifica e controllo migliori di quelli previsti nello Sblocca Italia. Stasera non sono contento del mio partito e del panico in cui cade troppo spesso nei casi in cui la coscienza si divide dalla verità”, spiega Emiliano. E sul fabbisogno? Secondo i comitati per il sì, le riserve di petrolio presenti nel mare italiano basterebbero a coprire solo 7 settimane di fabbisogno energetico e quelle di gas appena 6 mesi.
Virginia Della Sala – Il Fatto Quotidiano, 18 marzo 2016 – pag. 6

martedì 15 marzo 2016

Trivelle, pochi sanno (ma la maggioranza non le vuole affatto)

Manca poco più di un mese al referendum sulle trivelle: la consultazione, chiesta e ottenuta da dieci Regioni, riguarderà lo stop alle trivellazioni in mare per l’estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia marine. Se il quorum verrà raggiunto e vinceranno i sì, le concessioni attualmente in vigore non potranno essere rinnovate in modo automatico per sfruttare i giacimenti fino al loro esaurimento. Le motivazioni dei promotori del referendum sono essenzialmente di tipo ambientalista: sostengono che le trivellazioni siano una minaccia per l’ecosistema marino, e che un eventuale incidente possa causare un vero e proprio disastro biologico.
Si tratta quindi di un referendum di impronta ambientalista: non il primo nella storia italiana, e di certo non l’ultimo. Il primo precedente storico può essere individuato in quel referendum che nel 1987 fermò la produzione di energia nucleare in Italia. I tre quesiti, promossi dai Radicali, furono approvati con percentuali di sì tra il 72% e l’80%, con un’affluenza del 65%. Sull’esito di quel referendum ebbe un forte impatto –come è facile immaginare – il disastro della centrale nucleare di Chernobyl avvenuto solo un anno prima. Anche i successivi referendum del 1990 sulla caccia e sull’uso dei fitofarmaci in agricoltura avevano un’impronta ambientalista, tanto che tra i promotori vi erano anche i Verdi, ma stavolta il quorum non fu raggiunto (l’affluenza si fermò al 43%). Proprio la nascita dei Verdi come partito nazionale testimonia come la sensibilità ambientalista si fosse ormai diffusa in Italia, al punto che nella prima metà degli anni 90 i Verdi ottennero ottimi risultati in occasione di elezioni nazionali: dopo il “boom” delle Europee del 1989 (1,3 milioni di voti e quasi il 4%), il partito ambientalista riuscì a conquistare circa un milione di voti anche in occasione delle Politiche del ’92, del ’94 e del ’96, sempre in coalizioni di centro-sinistra, e alle Europee del 1999. Gradualmente, negli anni successivi, i Verdi persero di importanza, fino a “sciogliersi” in altre liste e senza più eleggere rappresentanti. Ma le tematiche legate all’ambiente non sono scomparse, anzi sono riemerse clamorosamente nel 2011, quando si è tenuta una nuova tornata referendaria: questa volta, oltre a un quesito che abrogava la possibilità di costruire nuove centrali nucleari in Italia, si votò anche per mantenere pubblica la gestione dei servizi idrici. Similmente a quanto accadde nel lontano ’87, anche stavolta un disastro nucleare avvenuto all’estero (quello di Fukushima, in Giappone), gonfiò le vele del comitato referendario, e i referendum superarono il quorum con quasi il 55% degli aventi diritto. Sembrava l’inizio di una nuova stagione di sensibilizzazione verso i temi della tutela delle risorse naturali, ma sul finire di quello stesso anno la pesantissima crisi finanziaria rimise tutto in discussione. Al punto che alle elezioni politiche successive, meno di due anni dopo, nessuno parlò di temi legati all’ambiente. Secondo uno studio delle ricercatrici Bianchi e Chianale dell’Osservatorio di Pavia, nei tre mesi della campagna elettorale che hanno preceduto le Politiche 2013, i temi legati all’ambiente ottennero solo l’1,4% di copertura sulle reti televisive del servizio pubblico, e il 3,8% sui canali Mediaset; complessivamente, telegiornali e talk show dedicarono un misero 0,1% ai temi ambientali, che ottenevano un po’ più di spazio solo nei programmi di satira (6,3%). La tutela dell’ambiente è stata poco importante anche nel determinare le scelte di voto alle Europee dell’anno successivo: un sondaggio del Cise rivelò che ben il 14,3% degli italiani riteneva che Sel fosse il partito più credibile per combattere inquinamento e dissesto del territorio, ma solo l’1,9% dello stesso campione esprimeva un’intenzione di voto conseguente. Cosa dobbiamo aspettarci dai referendum del prossimo 17 aprile? Secondo un sondaggio SWG realizzato il mese scorso, gli italiani sono molto sensibili ai temi ambientali: il 52% pensa che la qualità dell’ambiente sia seriamente minacciata, e il 64% che la tutela dell’ambiente sia una necessità. Non molti sono a conoscenza del referendum, però: solo il 22% dice di esserne informato, mentre il 40% ne ha solo sentito parlare. Sia quelli che approvano le trivellazioni (37%) sia quelli che vi sono contrari (56%) in grande maggioranza pongono il tema della tutela dell’ecosistema marino. Di conseguenza, la stragrande maggioranza degli intervistati (il 78%) voterebbe sì al referendum sulle trivelle. Sembra che il successo di un nuovo referendum ambientalista sia a portata di mano, tutto si giocherà – come sempre quando si tratta di referendum – sulla conoscenza dei quesiti e sull’affluenza alle urne.
Salvatore Borghese - Il Fatto Quotidiano – 15 marzo 2016 – pag. 5

mercoledì 24 febbraio 2016

#REFERENDUM CONTRO LE TRIVELLE, SI VOTA IL 17 APRILE: LE INDICAZIONI

Il quesito referendario chiede di abrogare la norma che prevede, per le autorizzazioni a esplorazioni e trivellazioni dei giacimenti già rilasciate, una durata pari alla vita utile del giacimento
Nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana Serie Generale, n. 38 del 16 febbraio 2016 è stato pubblicato il decreto del Presidente della Repubblica del 15 febbraio 2016 con il quale è stato convocato, per domenica 17 aprile 2016, un referendum popolare, abrogativo previsto dall'articolo 75 della Costituzione che ha la seguente denominazione: "Divieto di attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in zone di mare entro dodici miglia marine. Esenzione da tale divieto per titolo abilitativi già rilasciati. Abrogazione della previsione che tali titoli hanno la durata della vita utile del giacimento".
Il quesito è così formulato: "Volete voi che sia abrogato l'art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, "Norme in materia ambientale", come sostituito dal comma 239 dell'art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)", limitatamente alle seguenti parole: "per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale"?".

Queste le indicazioni
Per il suddetto referendum le operazioni di votazione si svolgeranno nella sola giornata di domenica, dalle ore 7 alle ore 23, ai sensi dell'art. 1, comma 399, primo periodo, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014). Le operazioni di scrutinio avranno inizio subito dopo la chiusura della votazione e l'accertamento del numero dei votanti. 
Per questo referendum trovano applicazione le modalità di voto per corrispondenza di cui alla Legge 27/12/2001 n. 459 e decreto di attuazione D.P.R. 02/04/2003 n. 104 e successive modifiche. 
Coloro che si trovano momentaneamente all'estero possono optare per l'esercizio di voto per corrispondenza tramite il modulo riportato sull'Home page del sito della Prefettura di Ravenna, entro il 26 febbraio 2016. L'opzione dovrà pervenire all'Ufficio consolare operante nella circoscrizione di residenza dell'elettore (mediante consegna a mano, o per invio postale o telematico, unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento d'identità del sottoscrittore) entro il termine suddetto. L'opzione può essere revocata con le medesime modalità ed entro gli stessi termini previsti per il suo esercizio. Qualora l'opzione venga inviata per posta, l'elettore ha l'onere di accertarne la ricezione, da parte dell'Ufficio consolare, entro il termine prescritto. 
Per quanto riguarda invece gli elettori residenti all'estero, gli stessi ai sensi dell'art. 1, comma 3, della legge n. 459 del 2001, devono esercitare l'opzione entro il decimo giorno successivo all'indizione del referendum - intendendo riferito tale termine alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto di indizione - e cioè entro il prossimo 26 febbraio 2016. L'opzione dovrà pervenire all'Ufficio consolare operante nella circoscrizione di residenza dell'elettore (mediante consegna a mano, o per invio postale o telematico, unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento d'identità del sottoscrittore) entro il termine suddetto. L'opzione può essere revocata con le medesime modalità ed entro gli stessi termini previsti per il suo esercizio. Qualora l'opzione venga inviata per posta, l'elettore ha l'onere di accertarne la ricezione, da parte dell'Ufficio consolare, entro il termine prescritto. Il modulo d'opzione potrà essere reperito dai nostri connazionali residenti all'estero anche presso i Consolati, i patronati, le associazioni, i "Comites" oppure in via informatica, sia sul sito di questa Prefettura, che sul sito del predetto Ministero o su quello del proprio Ufficio consolare.
Fabio Angeletti

sabato 13 febbraio 2016

Trivelle, assedio al Colle: “Salviamo il referendum” Ecologisti e Grillo: appello a Mattarella per la tornata unica con le Comunali

"Guardi, ora sono con delle persone, risentiamoci più tardi”. Clic. Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali, poi per tutto il giorno risulterà irraggiungibile. La domanda che gli avevamo fatto era sul mancato election day. Ovvero cosa ne pensa del fatto che il governo ha deciso di far tenere il referendum sulle trivellazioni in mare per il petrolio il 17 aprile, senza invece accorparlo al primo turno delle elezioni amministrative, consentendo così di risparmiare oltre 300 milioni di euro. Cifra poco inferiore ai 402 milioni di euro raccolti dallo Stato nel 2014 per le royalties sulle attività petrolifere. La domanda l’abbiamo rivolta a Franceschini perché fu lui, nel 2011, a sostenere con forza l’election day in occasione dei quattro referendum su acqua, nucleare e legittimo impedimento. A Palazzo Chigi c’era Silvio Berlusconi e il Pd chiese con forza di accorpare i quesiti alle amministrative di primavera. “Dire no all’election day significa buttare dalla finestra almeno 300 milioni di euro, in un momento in cui le imprese e le famiglie italiane sono in grande difficoltà. E unicamente per impedire che il referendum sul legittimo impedimento raggiunga il quorum”, diceva allora l’attuale ministro dei Beni culturali.
Quando i dem gridavano allo scandalo
Oggi molto deve essere cambiato, perché non è stato emesso nemmeno un fiato. E anche in questo caso l’intento dell’esecutivo – di cui però ora Franceschini fa parte – sembra essere lo stesso: sabotare il raggiungimento del quorum. In Parlamento, nel 2011, fu addirittura presentata una mozione firmata, tra gli altri, da Ventura, Maran, Calipari, Boccia, Quartiani, Giachetti, Rosato. Già proprio Ettore Rosato, l’attuale capogruppo a Montecitorio, che ora invece, come tutti suoi colleghi, tace. La mozione fu poi bocciata per un solo voto, con grande disappunto di Matteo Renzi, allora sindaco di Firenze, che criticò le troppe assenze in Parlamento nelle file del Pd al momento del voto. Ma non è la prima volta che accade. Anche nel 2009 il Pd si scagliò contro il mancato accorpamento di elezioni e referendum. All’epoca, sempre governo Berlusconi, si chiedeva di unire elezioni europee e referendum abrogativo sul Porcellum, che la Lega osteggiava in tutte le maniere. Alla fine non se ne fece nulla, con grande arrabbiatura del Pd. “Si tratta di una scelta immorale e vergognosa”, tuonava Rosato, sempre lui. “Lanciamo un appello al premier perché faccia una scelta di buon senso, anche alla luce del terremoto a L’Aquila”, gli faceva eco Anna Finocchiaro. E riecco Franceschini. “Berlusconi ci tiene sempre a dimostrare che è lui che comanda, salvo poi piegarsi sempre ai ricatti di Bossi”, diceva l’allora segretario del Pd, da poco succeduto a Walter Veltroni.
Tante associazioni contro l’esecutivo
Insomma, andava così. Oggi, i tempi sono cambiati. Se una scelta la fai tu, va bene, sprechiamo pure 300 milioni. Quando invece la facevano gli altri, si gridava allo scandalo. Sul fronte della protesta, intanto, ieri si sono moltiplicati gli appelli di ambientalisti a governo, Corte Costituzionale e anche al presidente della Repubblica. A Sergio Mattarella si rivolge direttamente il M5S: “Chiediamo al capo dello Stato di intervenire affinché si faccia l’election day, sia per garantire il quorum, sia per far risparmiare 300 milioni di euro”. Tutta una serie di associazioni No Triv chiedono al presidente della Repubblica di non firmare il decreto del governo. “Anche perché – sostengono – così facendo gli italiani sarebbero chiamati alle urne tre volte nel giro di pochi mesi: ad aprile sulle trivellazioni, a giugno sulle amministrative e a ottobre per il referendum confermativo sulle riforme costituzionali”. Inizialmente i quesiti referendari erano sei. Poi, dopo alcune norme approvate nella legge di stabilità, ne è rimasto in piedi uno solo, mentre su due grava un conflitto di attribuzione. Il quesito ammesso si pone l’obbiettivo di abrogare la norma che prevede che le trivellazioni per cui sono già state rilasciate delle concessioni non abbiano una scadenza. Il referendum vuole invece limitare la durata delle concessioni alla loro scadenza naturale, ovvero all’esaurimento dei giacimenti. Altri due quesiti, invece, sono stati dichiarati decaduti dalla Cassazione, ma sei Regioni hanno presentato un conflitto di attribuzione.