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mercoledì 16 marzo 2016

#AcquaNonSiVende - Servizi idrici, il governo tradisce 26 milioni di voti

La maggioranza, col parere favorevole dell’esecutivo, cancella l’obbligo di gestione pubblica dalla legge che doveva rispettare il voto di 5 anni fa
“L’ acqua non si vende” era la scritta sui cartelli esposti dai deputati del Movimento Cinque Stelle durante la discussione di ieri in commissione Ambiente alla Camera. Proteste anche fuori da Montecitorio. A scaldare gli animi, del M5s e di Sel, è stato il voto ad alcuni emendamenti del Pd alla proposta di legge sull’acqua pubblica, quella che dovrebbe finalmente allineare la normativa italiana a quanto deciso dagli italiani con il referendum del 2011 e che invece ieri è stata completamente stravolta. Una seduta movimentata che è arrivata all’approvazione con il voto contrario di 5Stelle e Sel-Sinistra italiana. Cosa è successo? Viene completamente stralciato l’articolo 6 della legge - frutto del lungo lavoro di un intergruppo formato anche da deputati del Pd - che prevedeva l’obbligo che la gestione dei servizi e le infrastrutture idriche fossero completamente pubbliche. Tradotto: niente spa, né ingresso dei privati nei gestori. Al momento della votazione sull’emendamento, i deputati Sel hanno annunciato il ritiro delle loro firme, seguiti da Federica Daga, deputata M5s e prima firmataria della proposta di legge. “Oggi (ieri) è il giorno in cui con un emendamento di poche righe il Pd affossa la volontà di 26 milioni di italiani. Cancellando l’articolo sei della legge di iniziativa popolare si elimina l’obbligo che l’acqua, la sua gestione e le infrastrutture idriche siano pubbliche”, ha commentato la deputata del M5s. L’emendamento Pd stabilisce infatti che la gestione del servizio idrico non dovrà più essere obbligatoriamente pubblica, ma solo affidata in “via prioritaria” a società interamente pubbliche, “in possesso dei requisiti prescritti dall’ordinamento europeo per le gestioni in house”, ma comunque partecipate da enti locali che fanno parte dell’ambito territoriale. L’emendamento infatti si rifà alla direttiva Ue 2014/23 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (e anche alla riforma del codice degli appalti varata dal governo): l’affidamento ai privati resta un’opzione valida. E di norma è quella premiata.
Curiosamente l’approvazione dell’emendamento Pd è avvenuta nonostante il parere negativo del Mise che avrebbe voluto cancellare anche l’espressione “in via prioritaria”, perché “non conciliabile con i principi di concorrenza, in quanto non vengono esplicitati i criteri con i quali scegliere l’opzione di affidamento in house o di altra tipologia”. Il capogruppo Pd, Enrico Borghi si è giustificato appellandosi alla forma: “I nostri emendamenti sanciscono la natura dell’acqua come bene naturale e diritto umano universale, chiariscono che tutte le acque sono pubbliche e che sono risorse scarse da utilizzare il modo efficiente”. Il che vuol dire che la proprietà dell’acqua rimane pubblica, ma la gestione e le infrastrutture no. Una bella differenza che contrasta col voto popolare e modifica completamente la vocazione originaria del testo.
Giovanna Borrelli - Il Fatto Quotidiano - 18 marzo 2016, pag. 9 

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