La
maggioranza, col parere favorevole dell’esecutivo, cancella l’obbligo di
gestione pubblica dalla legge che doveva rispettare il voto di 5 anni fa
“L’ acqua non si vende” era la scritta sui cartelli esposti
dai deputati del Movimento Cinque Stelle durante la discussione di ieri in
commissione Ambiente alla Camera. Proteste anche fuori da Montecitorio. A
scaldare gli animi, del M5s e di Sel, è stato il voto ad alcuni emendamenti del
Pd alla proposta di legge sull’acqua pubblica, quella che dovrebbe finalmente
allineare la normativa italiana a quanto deciso dagli italiani con il
referendum del 2011 e che invece ieri è stata completamente stravolta. Una
seduta movimentata che è arrivata all’approvazione con il voto contrario di
5Stelle e Sel-Sinistra italiana. Cosa è successo? Viene completamente stralciato
l’articolo 6 della legge - frutto del lungo lavoro di un intergruppo formato
anche da deputati del Pd - che prevedeva l’obbligo che la gestione dei servizi
e le infrastrutture idriche fossero completamente pubbliche. Tradotto: niente
spa, né ingresso dei privati nei gestori. Al momento della votazione sull’emendamento,
i deputati Sel hanno annunciato il ritiro delle loro firme, seguiti da Federica
Daga, deputata M5s e prima firmataria della proposta di legge. “Oggi (ieri) è il
giorno in cui con un emendamento di poche righe il Pd affossa la volontà di 26
milioni di italiani. Cancellando l’articolo sei della legge di iniziativa
popolare si elimina l’obbligo che l’acqua, la sua gestione e le infrastrutture
idriche siano pubbliche”, ha commentato la deputata del M5s. L’emendamento Pd
stabilisce infatti che la gestione del servizio idrico non dovrà più essere
obbligatoriamente pubblica, ma solo affidata in “via prioritaria” a società
interamente pubbliche, “in possesso dei requisiti prescritti dall’ordinamento
europeo per le gestioni in house”, ma comunque partecipate da enti locali che
fanno parte dell’ambito territoriale. L’emendamento infatti si rifà alla direttiva
Ue 2014/23 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (e anche alla
riforma del codice degli appalti varata dal governo): l’affidamento ai privati
resta un’opzione valida. E di norma è quella premiata.
Curiosamente l’approvazione dell’emendamento Pd è avvenuta
nonostante il parere negativo del Mise che avrebbe voluto cancellare anche
l’espressione “in via prioritaria”, perché “non conciliabile con i principi di
concorrenza, in quanto non vengono esplicitati i criteri con i quali scegliere
l’opzione di affidamento in house o di altra tipologia”. Il capogruppo Pd,
Enrico Borghi si è giustificato appellandosi alla forma: “I nostri emendamenti
sanciscono la natura dell’acqua come bene naturale e diritto umano universale,
chiariscono che tutte le acque sono pubbliche e che sono risorse scarse da
utilizzare il modo efficiente”. Il che vuol dire che la proprietà dell’acqua
rimane pubblica, ma la gestione e le infrastrutture no. Una bella differenza
che contrasta col voto popolare e modifica completamente la vocazione
originaria del testo.
Giovanna Borrelli - Il Fatto Quotidiano - 18 marzo 2016,
pag. 9
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