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martedì 29 settembre 2015

Veleni - Il nostro Paese importa 155 mila tonnellate di concentrato, 122 mila arrivano dalla potenza asiatica

Pomodori cinesi in Italia Marci e pieni di pesticidi


Giallo pomodoro. Ecco il paradosso: siamo tra i primi tre produttori mondiali - dietro agli Usa e in lotta con la Cina - ma importiamo centinaia di migliaia di tonnellate proprio dal rivale asiatico. Pomodori concentrati, trattati con pesticidi, perfino scaduti. Arrivano in Italia, vengono lavorati e finiscono a tavola e nei supermercati con l’etichetta Made in Italy. “I primi responsabili della contraffazione dei nostri prodotti più pregiati siamo noi italiani”, sostiene Gian Maria Fara, presidente di Eurispes e autore del rapporto nazionale sulle Agromafie con Gian Carlo Caselli. Dalla prima edizione, tre anni fa, punta il dito sui pomodori taroccati. Una crociata condotta anche da Coldiretti. Ultime a parlarne Le Iene in un’inchiesta di Nadia Toffa che è arrivata nelle fabbriche cinesi dove nascono i pomodori “italiani”. Ma per qualche furbo che si arricchisce in molti ci rimettono. I lavoratori delle fabbriche lager cinesi. Poi il marchio italiano, che vede i prodotti dop contaminati da pomodori di bassa qualità. Infine i consumatori, che si mangiano cibi di provenienza ignota.
Ortaggi d’importazione tagliati con quelli italiani
“I pomodori cinesi talvolta risultano prodotti in colonie penali dove i contadini lavorano in condizioni disumane. Sono quasi dei lager”, spiegano Caselli e Fara. Nessuno, però, in Italia sembra curarsene troppo. Così il nostro Paese si ritrova a essere esportatore e importatore di pomodori. Ci sono 105 mila tonnellate l’anno di prodotto fresco o refrigerato che arrivano da Israele e Marocco. Ma questo non è il pericolo. Il guaio sono le 155 mila tonnellate di concentrato di pomodoro. Di queste 120 mila sono cinesi. “Il concentrato sono pomodori privati dell’acqua, più leggeri e meno costosi da trasportare”, spiega Lorenzo Bazana, responsabile del settore Ortofrutta di Coldiretti. Come accade con la droga, in Italia ci sono produttori che usano “tagliare” i pomodori tricolori con quelli cinesi. “Così si vince la concorrenza ”, racconta Coldiretti. La grandissima maggioranza – il 98%, secondo il rapporto sulle agromafie – finisce in provincia di Salerno. Qui vengono lavorati. Basta questo per poter poi mettere sulla confezione l’etichetta: Made in Italy. “Per la gioia delle mafie che si infilano in tutti i passaggi della filiera agroalimentare: produzione, trasformazione e lavorazione, trasporto e distribuzione”, spiega Fara. Quando il prodotto è finito, eccolo pronto per il commercio.

Ed ecco il secondo paradosso: il 71% del pomodoro cinese targato Italia, torna all’estero. Spesso proprio in Cina, dove viene spacciato per un’eccellenza tricolore (insomma, uno scaricabarile tra italiani e cinesi a chi frega meglio). Ma tocca anche a tedeschi, inglesi. E a noi italiani: il 29% finisce sulle nostre tavole. Con parecchie incognite: “In Europa sono state bandite centinaia di sostanze pesticide tossiche. Molte, non tutte, sono vietate anche in America. Mentre in Cina spesso sono usate”, sostiene Bazana. Non basta: “A volte per produrre il concentrato si utilizzano anche pomodori scaduti. Costano meno a chi compra e aiutano i produttori a liberarsi di merce inutile”. In pratica chi crede di mangiare una deliziosa polpa di pomodori italiani rischia di mettersi in pancia della roba scaduta o mezza tossica. Come evitarlo? E quali sono i prodotti a rischio?

Impossibile risalire alla filiera produttiva

“Difficile che gli ortaggi cinesi si nascondano nelle confezioni con i prodotti dove è scritto “100% di pomodori italiani”. Chi lo scrive se ne assume la responsabilità e deve sottostare a rigidi controlli”, spiega Bazana. Aggiunge: “Più il prodotto è lavorato e maggiori sono i rischi che sia tagliato. Pomodori a pezzettoni e pelati dovrebbero essere garantiti, c’è forse il rischio che siano allungati con liquido ricavato da concentrato cinese”. Difficile ricostruire invece la provenienza dei sughi, dei prodotti da pizza, dei succhi, dei pomodori contenuti nelle salse o nei prodotti surgelati. Ecco il punto: le leggi non prevedono che sia indicata la provenienza dei singoli ingredienti. “Sarebbe un bel contributo alla trasparenza”, chiede da sempre Coldiretti. Ma i controlli? “Quelli italiani sono tra i più stringenti. Ma non si possono adottare regole severe solo in Italia, si finirebbe per danneggiare i nostri porti dove arriva la merce”. Servirebbero regole comuni. Ma non solo per i pomodori.

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