VIDEO 5 GIORNI A 5 STELLE

DI BATTISTA - 11.05.2016 OTTOEMEZZO

11.05.2016 - ALFONSO BONAFEDE (M5S) Unioni civili: tutta la verità in faccia al governo

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giovedì 24 dicembre 2015

Boschi, non c’è conflitto: grazie alla legge di Berlusconi

Maria Elena Boschi si è mossa in conflitto di interessi sul caso Banca Etruria? Il deputato del Movimento Cinque Stelle Alessandro Di Battista ha chiesto informazioni ieri, l’Antitrust sta rispondendo oggi. La risposta è no. Ma solo grazie al dispositivo della legge Frattini, voluta da Berlusconi per sterilizzare il proprio conflitto di interessi. Boschi, infatti, ha potuto giovare del meccanismo dell’uscita dalla stanza che consente, secondo la Frattini, di non influenzare le decisioni. E comunque con qualche dettaglio che può creare comunque imbarazzo al ministro delle Riforme.
L’Autorità guidata da Giovanni Pitruzzella deve pronunciarsi sulla base della legge Frattini del 2004. Che fu fatta dal governo Berlusconi, quindi non certo particolarmente stringente.
L’articolo 3 della Legge Frattini stabilisce che c’è conflitto di interessi in capo a una carica di governo quando il titolare di una carica di governo partecipa a un atto o omette un atto che ha “Un’incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio del titolare (cioè del ministro, ndr) del coniuge, o dei parenti entro il secondo grado” e, secondo requisito, “con danno per l’interesse pubblico”.
Gli atti a cui ha partecipato la Boschi hanno queste caratteristiche. Il decreto 180 del 16 novembre, quello che recepisce la normativa europea sul bail-in, in particolare l’articolo 35 comma 3 che stabilisce l’esercizio dell’azione di responsabilità . Se c’è un danno, è il commissario speciale della Banca d’Italia che deve attivarsi per chiedere risarcimento. In questi giorni si è parlato di uno “scudo” per il padre della Boschi, Pier Luigi, quando era vicepresidente della Popolare dell’Etruria, anche se la norma è sostanzialmente identica a quella del testo unico bancario relativa alle banche in liquidazione coatta amministrativa.
Sotto il primo profilo, quello dell’incidenza specifica e preferenziale, si limita a specificare e regolare le modalità in cui si fanno valere le responsabilità verso gli organi amministrativi e di controllo. Quanto al requisito del danno, sempre ai sensi dell’art. 5 del regolamento attuativo della legge Frattini, l’atto deve essere idoneo “ad alterare il corretto funzionamento del mercato”. Questa circostanza, secondo gli uffici dell’Antitrust, non si riscontra nel caso specifico.
Il primo provvedimento sensibile è quello del gennaio 2015: la riforma delle banche popolari (misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti) che diventano società per azioni. L’Antitrust, sulla base delle informazioni trasmesse dalla presidenza del Consiglio dei ministri, ha verificato che la Boschi non era presente alla riunione del 20 gennaio, dove è stato deciso il decreto pubblicato sulla gazzetta ufficiale quattro giorni dopo.
Se palazzo Chigi ha detto la verità su quel Consiglio non spetta all’Antitrust stabilirlo.
Per quanto riguarda il decreto del 22 novembre, il famigerato decreto salva Banche, in base alle informazioni fornite dal segretario generale della presidenza del Consiglio, la Boschi non ha partecipato.
Poi c’è il decreto 180 del 16 novembre, quello che recepisce nell’ordinamento italiano le norme europee sul bail-in. Il 10 settembre c’è una prima seduta del Consiglio dei ministri dove viene approvato lo schema preliminare del decreto legislativo da inviare alle commissioni parlamentari. A questa riunione, la Boschi risultava presente.
Non ha partecipato invece alle sedute successive del 6 novembre e del 13 novembre in cui il provvedimento legislativo fu prima esaminato nel merito e poi approvato in via definitiva. In base allo spirito della legge Frattini, partecipare è il primo requisito per poter influire sulle decisioni e quindi manifestare il conflitto di interesse.

Di Battista ha chiesto anche se la Boschi, quando fu nominata ministro, compilò le dichiarazioni sul suo patrimonio e dei famigliari: sono arrivate all’Antitrust nei tempi previsti il 21 maggio 2015, dopo richiesta del 3 aprile 2015. Ma qui c’è un dettaglio rilevante: nella comunicazione all’Antitrust la Boschi non comunicò il possesso delle azioni di Banca Etruria.

lunedì 21 dicembre 2015

Altra oscenità del PD e della maggioranza

Il “presidente del consiglio delle banche” mente anche durante le festività. Dovrebbe solo vergognarsi per le oscene marchette che ha messo nella legge di stabilità per accontentare i soliti amici. Soldi nostri che vanno a soddisfare le sue clientele. Invece attacca il M5S dicendo che non eravamo in aula ieri notte. Segnali di debolezza!
L'intervento che vi posto l'ho fatto esattamente alle 00.29. L'ho fatto per convincere il PD ad aprire un conto corrente dove tutti i cittadini (e certamente i parlamentari del M5S con i soldi degli stipendi tagliati) avrebbero potuto mettere dei soldi (servono 3 milioni di euro che il governo non è riuscito a trovare pensate...) per evitare che venissero calcolate come reddito le pensioni di invalidità o l'indennità di accompagnamento per i disabili.
Pensate, il PD ha votato contro. Non solo non trova i soldi ma ci impedisce di dare parte dei nostri stipendi tagliati. Questo – ovviamente – per paura. Perché temono i nostri buoni esempi.
Ma c'è di più. Intorno all'1, all'1 e mezza, la Presidente Boldrini ha comunicato all'aula che il M5S aveva esaurito tutti i tempi di discussione. TUTTI! Anche i tempi aggiuntivi. Questo perché ci siamo sgolati per combattere le schifezze contenute nella stabilità.
Significa che abbiamo fatto opposizione tutta la notte. Utilizzando fino all'ultimo secondo a nostra disposizione. Secondo voi i deputati del PD hanno utilizzato tutto il loro tempo? Seeeee! Restavano zitti, lasciavano fare tutto al governo. Pigiavano il bottone come mediocri robot dell'immoralità e si innervosivano non appena il M5S chiedeva la parola in aula.
Con la stabilità hanno dato soldi nostri a destra e sinistra. A fondazioni amiche del PD, ad ex-parlamenatari. Marchette su marchette. Molte le abbiamo bloccate, con altre non ce l'abbiamo fatta.
Oggi il rottamatore della legalità - dopo mesi che neppure ci nominava - ci attacca su RAI1. Davvero ottimi segnali!


venerdì 18 dicembre 2015

Banca Etruria, respinta mozione sfiducia #Boschi. Lei: “Favoritismi a mio padre? Mi dimetterei”

Bocciata la mozione contro il ministro delle Riforme: 373 no e 129 sì. Forza Italia non vota la sfiducia alla Boschi e Salvini minaccia: "C'è da rivedere alleanza per le amministrative". Di Battista contro il governo: "State prendendo in giro gli italiani"

Il risultato era scontato, meno le parole utilizzate dalla diretta interessata per respingere al mittente le accuse contro la sua famiglia. E’ stata bocciata come da pronostico (373 no contro 129 sì) la mozione del M5s contro il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi. “Io amo mio padre, che è una persona perbene. Ma se ha sbagliato deve pagare, come tutti. Non c’è spazio per favoritismi. Se i fatti contestati fossero veri? Mi dimetterei”. La mozione di sfiducia individuale è stata presentata dal Movimento 5 Stelle prima a Montecitorio (dove il governo è blindato) e dopo le polemiche anche al Senato (dove invece i numeri sono più risicati), ma sarà discussa solo alla Camera: non ci sono infatti precedenti in cui un provvedimento individuale contro un ministro sia discusso in entrambe le camere.
A rendere praticamente impossibile far passare la sfiducia in Aula, ci si è messa anche la spaccatura del fronte delle opposizioni. Forza Italia infatti ha deciso di non partecipare al voto per non sostenere il provvedimento scritto dai 5 Stelle. Una decisione fortemente criticata dalla Lega Nord: “Se non votano con noi”, aveva detto in mattinata il segretario del Carroccio Matteo Salvini, “ci sarà da rivedere l’alleanza per le amministrative”. Così anche la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni: “Se Forza Italia non dovesse votare la sfiducia al governo in Senato (che invece sarà votata a gennaio ndr), anche se dubito accada, questo comprometterebbe parecchio delle nostre alleanze”.
A proteggere la rappresentate del governo, tutto il Partito democratico, forse per una delle poche volte compatto: “Se pensano di farci paura non ci conoscono”, ha commentato il sottosegretario e braccio destro di Renzi Luca Lotti, “bel boomerang, bravi”. In difesa della Boschi anche il renzianissimo Ernesto Carbone: “I grillini figli dei fascisti”, ha commentato su Twitter, “fanno la morale a noi? Sciacquatevi la bocca”. Contraria alla mozione, oltre ai democratici anche l’Italia dei Valori: “Azione vergognosa”, ha commentato Nello Formisano. “Dimostra quanto l’opposizione sia tragicamente non solo a corto di argomenti ma quanto non abbia scrupoli a strumentalizzare una vicenda, sconvolgendola, in cui il ministro nulla c’entra”.
Il discorso del ministro Boschi in Aula


Nel nome del padre, è stato un ministro Maria Elena Boschi di lotta e di governo quello intervenuto a Montecitorio per rispondere alla mozione di sfiducia individuale per il presunto conflitto di interessi nel caso Banca Etruria, dove Pier Luigi Boschi è stato vice presidente prima del commissariamento. Di governo, quando ha sottolineato che non ci saranno differenze di trattamento, di lotta quando ha rispedito al mittente le accuse contenute nel testo della mozione presentata dal Movimento 5 Stelle. “Non è mia intenzione esprimere valutazioni per la campagna contro la mia famiglia e contro il governo” ha detto la Boschi, che poi è entrata immediatamente nel vivo della questione: “C’è stato favoritismo, una corsia preferenziale? Questo è il quesito che viene posto. Se la risposta fosse sì, sarei io la prima a ritenere necessarie le mie dimissioni”. Il motivo della presa di posizione è tutto ‘governativo': “Sono orgogliosa di far parte di un esecutivo che esprime un concetto molto semplice: chi sbaglia deve pagare, chiunque sia, senza differenze e favoritismi. Se mio padre ha sbagliato deve pagare. Non devono esserci doppie misure”.
Successivamente la titolare delle Riforme è entrata nel merito della questione: “Mio padre accettò nel 2014 l’incarico nella Banca Etruria e con un decreto del febbraio 2015 gli è stato tolto l’incarico – ha detto – Dov’è il favoritismo nell’aver fatto perdere l’incarico a mio padre? Dov’è il favoritismo di Bankitalia nell’aver fatto pagare una multa di 144mila euro?”. Nel proseguimento della sua replica, il ministro prima ha ricordato le origini umili della sua famiglia, poi ha dato i numeri del presunto conflitto di interessi: “Non siamo la famiglia della Banca Etruria” ha detto, sottolineando che la sua famiglia possedeva poche migliaia di azioni, ognuna del valore (all’epoca) di circa un euro l’una, ma che oggi valgono zero. “Io posseggo, anzi possedevo, 1.557 azioni di Banca Etruria, per un valore totale di 1500 euro – ha detto – Oggi equivalgono zero e sono carta straccia. Anche altri in famiglia hanno piccoli pacchetti. Mio padre possedeva 7.550 azioni. Trovo suggestivo sentire che con un pacchetto di 1.557 azioni io fossi la proprietaria della banca o che lo fosse la mia famiglia. Dire che la Banca Etruria è la banca della famiglia Boschi è suggestivo, ma non corrisponde a verità fatti”.
Sui tempi dei rapporti dei Boschi con la banca, inoltre, il ministro ha aggiunto che “né io, né la mia famiglia abbiamo acquistato o venduto azioni da quando io sono stata al governo, nessun plusvalore può essere stato realizzato. Ma siccome non voglio che ci siano dubbi in questa Aula, proviamo ad immaginare che ci siano state azioni”. E giù con i numeri: “Prima del decreto il valore era sceso causando una minusvalenza. A seguito del decreto c’è stato un rialzo titoli che ha ridotto di 369 euro la minusvalenza – ha spiegato – Ammesso che avessi venduto azioni, ma non lo ho fatto, il grande conflitto di interesse di cui stiamo parlando al paese sono 369 euro. Analogo ragionamento vale per il pacchetto azionario della mia famiglia: ci sarebbe stato un conflitto di interessi per 2300 euro”.
Da qui la difesa personale: “Mi si dica che sono venuta meno ai miei doveri istituzionali, mi si dica, se lo si ritiene, che non sono all’altezza. Ma non vi consento di mettere in discussione la mia onestà, non ve lo consento io e non ve lo consentono i fatti che sono più forti del pressappochismo e della demagogia di questi giorni” ha detto la Boschi. La conclusione è in pure stile Renzi: “Volete indebolire il governo? Lasciate perdere. La realtà dei fatti – ha aggiunto la Boschi – è molto più forte del qualunquismo, della demagogia e del populismo che dice che alcuni non sono uguali davanti alla legge. Nella nostra Italia siamo tutti uguali davanti alla legge e questo è dimostrato. Auguro a tutti voi di giudicare i fatti, che sono più forti della demagogia. A chi pensa così di indebolire il governo, dico: lasciate perdere. Il Governo è attrezzato per respingere attacchi e portare avanti la nostra azione. Non ci fermeranno le bugie, ma andremo avanti per dare all’Italia una nuova opportunità”.
Di Battista (M5S): “State prendendo in giro gli italiani”


Al termine dell’intervento c’è stata una lunga standing ovation dei deputati del Pd. Applausi dal resto della maggioranza, mentre tutti i colleghi di governo si affollavano attorno a Boschi per abbracciarla. Immobili tanto i deputati di Sinistra italiana quanto quelli di M5S. La cui posizione è riassunta dall’intervento di Alessandro Di Battista: “Il dottor Boschi è stato nominato vice presidente un mese dopo che la figlia è diventata ministro, pensate di prendere in giro il Paese con il vostro doppiogiochismo?”. Accuse pesanti, ma non sono le uniche: “Il ministro Boschi ha un conflitto grande, non come una casa, come una banca” ha aggiunto l’esponente grillino, secondo cui “un ministro dovrebbe essere al di sopra di ogni sospetto, e lei – rivolgendosi alla Boschi – non lo è”.
Da qui l’accusa al governo nel suo complesso, ma sempre rivolta alla titolare delle Riforme: “Le esprimo la più totale indignazione verso il vostro governo per provvedimenti infami che hanno mandato sulla strada molti cittadini. Ha fatto un intervento pieno di pietismo e compassione, ma non abbiamo visto né pietismo da parte sua né da parte del Pd nei confronti di migliaia di cittadini truffati“. Poi Di Battista ha provato ad entrare nel merito della questione: “Pensate che il punto di valore siano le azioni? Il punto è semplice: il governo Renzi e prima il governo Letta ha favorito o meno gli interessi delle banche? La risposta è sì” ha detto. Poi la conclusione, con l’invito al ministro a farsi da parte: “Se quello che è successo a Boschi fosse accaduto in epoca berlusconiana, a Carfagna o Gelmini, sarebbero insorti tutti – ha detto – Oggi la mozione sarà bocciata. Non sappiamo se il caso si ingrosserà. Se dovessero sorgere altri elementi, evidentemente potrebbe succedere che il premier Renzi stesso possa chiedere di sacrificare il ministro Boschi – ha aggiunto – perché Renzi difende solo se stesso. Voteremo sì alla mozione, Boschi dimettiti. E viva l’Italia, nonostante questa oscena ipocrisia“.
Tensione Lega Nord-Forza Italia
Nel frattempo, la mozione di sfiducia presentata da M5s contro il ministro Boschi per il presunto conflitto di interessi nel caso Banca Etruria rischia di avere un effetto collaterale non di poco conto: rompere la coalizione di centrodestra e la ritrovata intesa tra Forza Italia e Lega Nord. Motivo del contendere è la decisione dei forzisti di uscire dall’Aula quando si tratterà di votare contro la titolare delle Riforme. Il Carroccio, invece, ha deciso di dire sì al provvedimento contro la Boschi, al pari dei grillini e di Sinistra italiana. Una distanza politica che non è andata giù al leader padano Matteo Salvini, che da Mosca non le ha mandate a dire. Le parole del segretario, però, non sono riferite al caso di specie, ma alla linea generale dei berlusconiani.
“Se Forza Italia non vota la sfiducia al governo, ci incazziamo e ci sarà da rivedere tutto, anche la coalizione Lega-Fi-Fdi per le amministrative” ha detto Salvini. Che poi ha spiegato la sua presa di posizione: “Al vertice di Arcore, questa settimana, abbiamo fatto un documento comune in cui ci impegnavamo tutti a votare mozioni di sfiducia nei confronti del governo – ha detto – Abbiamo detto che avremmo votato sia quelle individuali, sia quelle collegiali”. Oggi invece alla Camera Forza Italia si asterrà. “Non parteciperemo al voto di sfiducia individuale nei confronti del ministro” ha annunciato il deputato azzurro Giorgetti in aula, che poi ha richiamato l’attenzione sulla mozione di sfiducia nei confronti del governo presentata da Fi, Lega e Fdi. Per Salvini non basta: “Se anche sulla mozione contro il governo hanno cambiato idea e prevarrà la linea inciucista, a quel punto bisogna ripensare tutto” perché la Lega “fa accordi solo con chi è all’opposizione di Renzi“.
Renato Brunetta, poi, ha provato a stemperare la tensione rilanciando la mozione contro il governo anche al Senato: “Non abbiamo alcun dubbio che sarà presentata anche al Senato, e che conseguentemente ci sarà una relativa calendarizzazione della stessa, con la possibilità, per l’alternanza tra i due rami del Parlamento, di discuterla sempre a gennaio a Palazzo Madama” ha detto il capogruppo Fi alla Camera. “La mozione di sfiducia al governo a Montecitorio è stata scritta congiuntamente da Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, così come deciso qualche giorno fa durante il vertice di Arcore tra Berlusconi, Salvini e Meloni. Alla Camera dei deputati questa mozione del centrodestra unito è stata presentata ed è già stata calendarizzare per metà gennaio 2016″.

Giorgia Meloni, poi, ha rincarato la dose contro i berlusconiani e spostato più in là l’asticella della tenuta dell’accordo: “La scelta di Forza Italia di non votare oggi la sfiducia è francamente incomprensibile, anche se come si sa avremmo preferito una sfiducia complessiva al Governo Renzi, come proposto da noi. Sarebbe una scelta tragica se non si volesse presentare analoga mozione di sfiducia al Governo Renzi, che il centrodestra ha presentato compattamente qui alla Camera, anche al Senato. Quello minerebbe ogni forma di collaborazione”.
Fonte

sabato 28 novembre 2015

M5S - Le nostre posizioni sul Terrorismo

Guardate questo video, in 5 minuti esatti vi spiego quasi tutto riguardo le nostre posizioni sul terrorismo. Siria? Assad? ISIS? Le parole di Di Battista? Tutto.
Ascoltate e se avete voglia condividete.

E' solo questione di tempo...

martedì 24 novembre 2015

#M5s-Roma, i simpatizzanti: “Senza Di Battista si rischia”. Ma gli attivisti: “Non ci serve Maradona, la coerenza è vincente”

Il M5s può conquistare Roma? La Capitale è pronta all’invasione pentastellata? Secondo gli attivisti il clima è cambiato, e la vittoria è imminente. “Non c’è alternativa, ci auguriamo di fare la fine di #Pomezia e #Livorno” dicono i cittadini a #Dragona, nella periferia romana a pochi chilometri da Ostia, dove i volontari del #M5s si sono occupati della pulizia di un parco nella borgata. E proprio da Ostia che è partito il boom dei 5 stelle a Roma. Oggi hanno una reale chance di vincere e la selezione del candidato diventa cruciale. “Certo con un Di Battista è fatta, Roma ha bisogno di una faccia nota, senza si rischia”. Molti simpatizzanti farebbero questa scelta al volo. Ma gli attivisti compatti bocciano questa ipotesi. “Non serve un Maradona, ma una squadra” afferma un ragazzo. Tra gli attivisti la discussione è animata su un altro fronte: chi sceglierà il candidato romano. I giornali parlano di divisioni tra correnti e di un #Casaleggio intenzionato a strappare la partita al locale per una votazione online nazionale con la partecipazione dei 100 mila iscritti. “Non è giusto, cosa ne sa un milanese del territorio di Roma, dovrebbero scegliere gli attivisti romani come a Milano e Torino” dicono alcuni. “E’ la Capitale, forse è corretto chiedere un parere nazionale” sostengono altri. Qui a Roma gli attivisti punterebbero di sicuro su uno dei consiglieri uscenti, tra i quali la competizione è forte. Per Marcello De Vito sono illazione e notizie fantasiose: “Ma quali correnti, il M5s romano è compatissimo, seguiremo le regole di sempre”. Ma la deputata Roberta Lombardi conferma l’ipotesi in ballo di una votazione nazionale: “Abbiamo letto, è buon suggerimento, valuteremo” dice sorniona.  A Roma un De Vito può farcela o serve un nome blasonato, un big? “Perderemmo l’anima e diventeremmo come il Pd, non ci affidiamo a l’uomo solo al comando, non è nel nostro dna, il M5s è un progetto collettivo” replica la Lombardi. “Non è più il momento di essere superficiali, votiamo il bel Marchini e poi? La politica marcia di questi anni è il risultato anche di questa logica” risponde un’attivista. E Grillo? Che ruolo deve avere alle prossime elezioni? Il leader di sicuro, dopo il cambio del logo, fa intuire di voler stare più nel retropalco. “Casaleggio è inquietante e Grillo spaventa, i nostri parlamentari sono apprezzati, ma la gente diffida di loro e le sue bordate terrorizzano. Senza Grillo il M5s stravince” afferma una signora. “A Grillo dobbiamo tanto, deve continuare a fare il ‘notaio‘, è un nostro punto di riferimento” rispondono altri.” Andrà intour in quei mesi è evidente il passo indietro, ora tocca a noi” aggiunge un’attivista. “ Non abbiamo paura di conquistare Roma, siamo consapevoli della mission possible che ci aspetta, il M5s deve e può vincere in questa città, dobbiamo fare una campagna elettorale onesta, basta prendere in giro i romani, questa amministrazione va capovolta, Grillo ha ragione”  chiosa la Lombardi

sabato 7 novembre 2015

A Roma i partiti iniziano a scaldare i motori per le Elezioni a Sindaco

A Roma pur di non far vincere il M5S inziano le “prove di Partito Unico”. Nulla di nuovo comunque, solo che, dopo 20 anni di fidanzamento tenuto nascosto oggi non hanno più pudore e si sposano alla luce del sole. Destra e sinistra, d'altronde, anche a Roma, erano già convolati a nozze e il matrimonio l'aveva celebrato “Mafia Capitale”.
Occorre capire che se stai con Salvini stai con Berlusconi, quindi con un condannato per frode fiscale. Se stai con Berlusconi stai con la Meloni quindi con Alemanno (rinviato a giudizio nel processo su mafia Capitale). Se stai con la Meloni stai con Salvini e quindi con la Lega Nord, sotto processo per truffa milionaria sui rimborsi elettorali. Se stai con il PD stai con il baby-pensionato Vendola che parla dei problemi dei lavoratori ma si intasca migliaia di euro di vitalizi (fa finta di stare all'opposizione, in molti comuni e regioni SEL governa insieme al PD).
Un intero sistema si coalizza, come sempre, contro il M5S. E cercano nomi nuovi per far credere ai cittadini che siano nuovi i partiti. Un nome nuovo...nuovo come un tempo era nuovo il nome di Veltroni o quello di Alemanno o di Marino. La domanda che dobbiamo porci è questa: chi ha governato e ha prodotto il disastro a Roma può meritarsi ancora la nostra fiducia? Vi prego VOTIAMOLI VIA!


P.S. Oggi (sab 7) sarò in Lombardia. Ore 10.00 a Sedriano (MI) in piazza del Mercato e alle 15.00 a Sesto San Giovanni, sala comunale di via Campestre (angolo via Grandi). Domani (dom 8) sarò a Reggio Emilia a piantare alberi.

giovedì 29 ottobre 2015

Salvaguardiamo il lavoro italiano

AVETE VIAGGIATO CON ALITALIA NEGLI ULTIMI ANNI? DOVETE SAPERE QUESTO!Mentre Renzi spende i nostri soldi (800.000 euro...

Posted by Alessandro Di Battista on Giovedì 29 ottobre 2015

mercoledì 28 ottobre 2015

Il fondatore del Movimento scende a Roma e annuncia il cambio: “Dobbiamo vincere, cerchiamo i voti”


Gianroberto Casaleggio
Roma val bene una svolta. Un cambio di pelle e di prospettiva: da Movimento solo per attivisti doc, a un M5s spalancato a donne e uomini di associazioni e movimenti civici. Da inglobare in lista, come benzina preziosa per prendersi il Campidoglio. Convinto che quella per Roma sia la partita delle partite, e che “perderla sarebbe imperdonabile”, il co-fondatore dei Cinque Stelle Gianroberto Casaleggio si presenta tra la sorpresa generale alla Camera, con il cappellino d’ordinanza. E con il Direttorio e le parlamentari romane Roberta Lombardi e Paola Taverna mette nero su bianco la sterzata: nella lista per il Campidoglio si lascerà largo spazio a esponenti di movimenti civici, associazioni ambientaliste, comitati di quartiere.
GENTE RADICATA sul territorio, che sappia parlare anche chi non è già nel mondo a 5Stelle. Capace di portare in dote voti freschi e puliti. È questa la terza via di Casaleggio, che da settimane ascolta parlamentari di peso sussurrargli che per le Comunali bisogna aprire alla società civile organizzata, per non soccombere alle coalizioni dei partiti. E a cui diversi eletti chiedevano di irrobustire il M5s capitolino in vista del voto. Il guru e Beppe Grillo non hanno mai preso in considerazione l’idea di candidare come sindaco un big (Alessandro Di Battista, Paola Taverna o Roberta Lombardi), stracciando la regola per cui un eletto deve completare il proprio mandato. “Ma senza un nome forte e correndo da soli rischiamo di perdere il treno della vita”, obiettavano i parlamentari. E allora, ecco una soluzione mediana: benedetta, raccontano, dal responsabile degli Enti locali Luigi Di Maio. Si metteranno in lista cittadini reduci da esperienze civiche, a patto che non abbiano militato in altri partiti e che non siano macchiati da condanne penali. Chissà quali e quanti correranno a gennaio nel voto sul portale di Grillo, dove si sceglierà il candidato sindaco per il Campidoglio. Ci saranno i quattro consiglieri comunali, con in prima fila Marcello De Vito (già candidato come primo cittadino) e Virginia Raggi. Ma il M5s ospiterà anche tanti esterni. Alternative da non sottovalutare per la poltrona numero uno. C’è chi sospetta che in lista possano infilarsi intellettuali o artisti di nome. Dal M5s negano con forza: “Non ricorreremo a quel tipo di figure”. Anche se qualche parlamentare ieri ha notato sul blog di Grillo un video con un intervento dell’archeologo Salvatore Settis. Ma la chiave rimane quella, i candidati civici. Comunque vada, torneranno utili in primavera. Certo, le incognite rimangono. Raccontano che Casaleggio abbia sollecitato un più intenso training per i consiglieri attuali, per preparargli meglio per la tv. E rimane la consegna di schierare in prima fila nella campagna la triade Di Battista-Taverna-Lombardi. Logico chiedersi: il modello Roma verrà esportato in altre città? Probabile. “In molti Comuni non si riesce a costruire una lista equilibrata, e a Milano lo sanno” ragiona un parlamentare. Soprattutto, diversi eletti premono perché il M5s si allei con liste civiche esterne. Sarebbe un cambiamento epocale, per i 5Stelle che non hanno mai stretto accordi. Una svolta alla Podemos, che a Madrid vinse con l’esponente di una lista civica. Casaleggio per ora mantiene il no ad apparentamenti. Più facile che accetti patti di desistenza, già praticati per le Comunali in Sicilia, a Gela ed Enna, anche se il M5s ha sempre negato. Cosa rimane? Il Casaleggio che, uscendo dallo studio di Di Maio dove ha incontrato i parlamentari, dice: “Un allargamento del Direttorio? È possibile”.

SE NE PARLA da un anno, come compensazione per i senatori che non hanno rappresentanti nella cinquina. Alcuni non hanno gradito l’ennesimo passaggio del guru solo alla Camera (“Pare che Casaleggio abbia già abolito il Senato...”). Il co-fondatore sussurra anche di Italicum: “Va cambiato, e le modifiche devono essere coerenti con le osservazioni fatte dalla Consulta”. Secondo il M5s andrebbero aboliti premio di maggioranza e candidature multiple e bisognerebbe ripristinare in pieno le preferenze. Intanto però bussano alla porta le Comunali. Con un M5s più civico. E più pragmatico.

Camera, sospesi diciotto deputati: 10 della Lega, 7 del M5S e Ignazio La Russa

L'ex ministro, ora in Fratelli d'Italia, durante un'informativa sui migranti, aveva detto alla presidente Boldrini: "Si vergogni a richiamarmi". I parlamentari del Carroccio sanzionati per aver definito Renzi un ladro durante una relazione sugli esodati. L'allontanamento temporaneo di alcuni dei grillini è legato a una seduta in commissione Giustizia durante la quale si discuteva il ddl sulla ragionevole durata dei processi.
Sono 18 i deputati sospesi dai lavori d’Aula per la “cattiva condotta” tenuta in varie occasioni nei mesi scorsi alla Camera e in commissione. Si tratta di Ignazio La Russa, dieci deputati della Lega Nord tra cui il capogruppo Massimiliano Fedriga, e sette esponenti del M5S tra cui Alessandro Di Battista e Carla Ruocco. Montecitorio ha anche inviato delle lettere di censura ai pentastellati e al deputato Pd Luciano Agostini in merito a diversi episodi avvenuti tra settembre e ottobre.
Sono due i giorni di sospensione inflitti a Ignazio La Russa: nella seduta del 5 maggio, dopo un’informativa urgente del governo sui migranti, il deputato di Fratelli d’Italia aveva sforato il tempo a disposizione per il suo intervento e, alla presidente Laura Boldrini che lo aveva invitato a concludere, aveva detto: “Si vergogni a richiamarmi”. Lega e M5S si sono astenuti nella votazione del provvedimento.
I dieci deputati della Lega Nord invece sono stati sospesi per 4 giorni, da scontare in tre diversi periodi per consentire la presenza del gruppo in Aula. Il 15 settembre, dopo un’informativa sugli esodati, i deputati Stefano Allasia, Angelo Attaguile, Stefano Borghesi, Filippo Busin, Massimiliano Fedriga, Cristian Invernizzi, Nicola Molteni, Marco Rondini, Barbara Saltamartini e Roberto Simonetti hanno occupato i banchi del governo esponendo un cartello con la scritta “Renzi ladro di pensioni”. Su questa decisione si sono astenuti Fratelli d’Italia e M5S. Fedriga sconterà la sospensione quando avrà terminato quella di quindici giorni che gli era stata precedentemente inflitta per un’altra intemperanza.
L’esclusione più lunga dall’Aula è toccata a due deputati del M5S: Alessandro Di Battista e Carla Ruocco. Hanno ricevuto 5 giorni di sospensione perchè il 24 luglio, in commissione Giustizia, durante l’esame del ddl sulla ragionevole durata dei processi hanno contestato pesantemente la presidente Donatella Ferranti su una votazione. Di Battista l’aveva apostrofata dicendole: “Dimettiti perché sei indegna“; Ruocco le aveva detto: “Puoi fare solo l’avvocato dei mafiosi“. Per lo stesso episodio i deputati Ferdinando Alberti, Riccardo Fraccaro, Luca Frusone, Carlo Sibilia e Angelo Tofalo non potranno partecipare ai lavori per 3 giorni.

I pentastellati sono anche destinatari di alcune lettere di censura, una delle quali condivisa col deputato Pd Luciano Agostini. Nella seduta del 9 settembre il M5S lanciò delle finte banconote da 500 euro dalle tribune e, in risposta, Agostini fece loro il gesto del dito medio. Il 23 settembre invece i grillini indossarono bavagli ed esposero cartelli e, infine, nella seduta del 6 ottobre durante l’esame del ddl concorrenza mostrarono la scritta “Vero made in Italy” e bottiglie di passata di pomodoro. La sanzione è stata decisa soprattutto perché parte di queste manifestazioni sono avvenute in diretta televisiva, determinando un danno di immagine per la Camera. Su questi punti si sono astenuti Lega Nord, Fratelli d’Italia e M5S mentre sulla sanzione ad Agostini ha votato no Gianni Melilla di Sel, che avrebbe voluto una punizione più dura.
F.Q. 

venerdì 23 ottobre 2015

Movimento 5 Stelle Roma, Di Battista: vincere nella Capitale per dare poi una spallata a livello nazionale

Roma - L’obiettivo è vincere. Ne parla Alessandro Di Battista intervistato a 24 Mattino‘ in onda su Radio 24.

Nel confermare l’indisponibilità ad una sua candidatura il deputato del M5S aggiunge: “Non farei il sindaco di Roma. Sono onorato che molte persone possano avere fiducia in me, ma non posso rompere quel rapporto fiduciario instaurato con i cittadini nel momento delle elezioni politiche. Ma se non riusciamo a vincere in una città grande e dimostrare che siamo capaci di governare sarà difficile dare una spallata sul piano nazionale. Quindi dobbiamo vincere a Roma se vogliamo vincere alle politiche”.
“Renzi responsabile numero uno” - La linea del MoVimento non assolve Marino ma punta al premier: “Il responsabile numero uno del degrado di Roma non è Marino, è Matteo Renzi”. “Marino non è un delinquente, è un inetto”. “La città è stata mal amministrata, parlare dello scontrino è riduttivo. Certo, lo scontrino determina essenzialmente una menzogna; in qualsiasi città del mondo, se tu hai mentito su una fattura ti dovresti vergognare”. Le colpe di Renzi? “L’ha difeso in un determinato momento perché temeva che se si fosse andati al voto, all’indomani della seconda retata di Mafia Capitale, il M5S avrebbe avuto chance e attualmente avremmo un sindaco”.

martedì 20 ottobre 2015

Roma ed Expo nell’Italia a 5 Stelle: intervista a Giulia Sarti

Classe 1986, Giulia Sarti si diploma al liceo scientifico “Einstein” di Rimini, laureandosi poi in Giurisprudenza a Bologna con una tesi in Diritto Costituzionale su “I referendum abrogativi nella prassi più recente (2003-2012)”. Entra nel Movimento 5 Stelle nel 2007, quando aderisce al meetup di Bologna, iniziando a conoscere da vicino il mondo della politica. Alle elezioni politiche del 2013 viene eletta alla Camera dei Deputati per il M5S nella circoscrizione XI Emilia-Romagna.

Ringraziandola per il tempo concessoci, di seguito l’intervista che gentilmente l’Onorevole Sarti ha rilasciato a Secolo Trentino in occasione della manifestazione del 17-18 ottobre all’Autodromo di Imola Italia 5 Stelle.
Roma: argomento sulla bocca di tutti al momento, dopo che la città è piombata nel caos amministrativo più totale. In seguito alle dimissioni di Ignazio Marino da Sindaco, sono sorte numerose polemiche in merito ad una possibile candidatura di Alessandro Di Battista, voci che il Deputato in persona ha già smentito ricordando giustamente che lui è stato eletto alla Camera, che ha preso impegno coi suoi elettori e che manterrà fede a tale impegno. Tuttavia nel M5S esiste un altro principio, forse gerarchicamente anche più elevato, ossia quello della sovranità del popolo della Rete. La domanda sorge spontanea: se il popolo della Rete dovesse richiedere in maggioranza la candidatura di Di Battista come Sindaco di Roma, si potrebbe fare un’eccezione all’impegno del vincolo di mandato?
Io penso che all’interno del MoVimento ci siano poche regole, ma che quelle poche regole ci abbiano sempre dato la coerenza e la garanzia di costruire quello che abbiamo costruito fino ad oggi. Non abbiamo, diciamo, deciso ancora quello che sarà il regolamento per la candidatura a Sindaco di Roma. Sta di fatto che derogare una volta significa poi derogare anche in tante altre situazioni, e allora se si dà la possibilità ad un parlamentare di candidarsi in un Comune, che sia Roma o che sia Milano o altre città, allora magari se la Rete chiedesse di allearsi col PD allora noi dovremmo allearci con il PD? E se la Rete e gli iscritti chiedessero di votare una legge dove si va, ad esempio, ad incentivare il nucleare in Italia, noi dovremmo eseguire quello che in questo caso la Rete chiede?
Io penso che ci siano dei principi cardine su cui davvero noi non possiamo derogare, anche se queste scelte certamente sono difficili da far capire. Però si deve pensare a quale sia l’obiettivo finale: l’obiettivo per noi è quello di fare in modo non che Di Battista, Di Maio, Taverna, ecc., ci siano per sempre, ma di fare in modo che ci siano altri cittadini che prendano il nostro posto un giorno e che siano ancora più bravi. Io sono convinta che i quattro Consiglieri romani che si sono battuti in questi anni all’interno del Comune di Roma abbiano tutte le carte in regola per diventare magari ancora più bravi di noi, di un Di Battista e di un Di Maio. Basta avere fiducia nelle persone che già lavorano nei territori e anche in quelle che arriveranno. Quindi queste per ora sono le regole e i principi. Poi magari potrà succedere negli anni a venire che qualcosa potrà cambiare, ma sicuramente saranno decisioni prese insieme.
Invece, parlando di consensi e intenzioni di voto, mentre pare che il Premier Renzi aumenti negli indici di gradimento, il suo PD cala. Così come anche Giorgia Meloni risulta essere uno dei leader nazionali più quotati, eppure il suo partito Fratelli d’Italia sembrerebbe non superare il 4%. Contrariamente invece il M5S presenta un Beppe Grillo con un consenso popolare sì alto, ma non quanto, per esempio, un Di Maio, o addirittura il MoVimento stesso, che cresce da solo. Può essere questo il primo segnale della realizzazione del sogno che Grillo ha confidato ieri sul palco di voler vedere sparire il suo nome dal logo del M5S? E secondo Lei quali possono essere i motivi di questa differenza nei consensi tra il M5S e gli altri partiti?
Sono esattamente le regole che noi ci siamo sempre dati come movimento, sulle quali ci siamo fondati, e cioè non impostare tutto il nostro lavoro su un’unica persona perché quello che conta è la Rete. Nel nostro gruppo parlamentare è ovvio che ci siano persone più brave e più capaci a comunicare, ma poi ce ne sono tante altre che lavorano, e quando siamo insieme in Parlamento, nelle nostre riunioni, nelle decisioni che dobbiamo prendere, lo facciamo insieme, non in competizione gli uni con gli altri. Non eleggiamo qualcuno per rappresentarci e per essere l’unico che deve portare avanti certi passi, certi obiettivi e certe scelte: le decisioni le prendiamo insieme, perché abbiamo fondato tutto questo movimento sulla partecipazione. Questa è la differenza tra noi e gli altri partiti: gli altri sono verticistici, noi siamo orizzontali. L’orizzontalità è esattamente questa: non che uno vale l’altro, ma che ognuno metta il suo mattoncino per costruire qualcosa. C’è chi è più bravo a comunicare, c’è chi è più bravo magari a scrivere emendamenti o proposte di legge, e tutti però insieme costruiamo e facciamo parte del MoVimento. E nel momento in cui abbiamo visto che in quei partiti verticistici, come ad esempio l’Italia dei Valori con Di Pietro o Forza Italia con Berlusconi, il leader cade, cade tutto. Con noi no, è quello il sogno. Cioè, Beppe Grillo è stato il “parafulmine”, se vogliamo, in certe occasioni, perché noi eravamo tanti e siamo stati in molti ad entrare alla prima esperienza senza ovviamente un trascorso politico, quindi non era facile all’inizio. Beppe è stata la persona che ci ha fatto un po’ da mamma “chioccia”. Oggi ci sono tante persone che sono cresciute e la speranza e di vederne arrivare ancora di più, quindi se oggi abbiamo un Di Maio la speranza è che tra dieci anni ce ne siano 20, 30, 40 di Luigi Di Maio, bravi come lui.
Siamo a metà ottobre, il che ci ricorda che a fine mese ci sarà la chiusura di Expo Milano 2015. In merito all’Esposizione Universale ci sono state tante polemiche, dai giri di corruzione alle indagini per associazione mafiosa, dai 12 miliardi di euro pubblici intascati da qualcuno e spariti al mostruoso ritardo nella compiutezza dei lavori. D’altro canto però la Coldiretti ha registrato un sorprendente aumento dell’export del Made in Italy negli ultimi mesi grazie ad Expo – nonostante anche il proliferare della contraffazione dei prodotti tipici italiani nel mondo e dell’embargo russo causato dalle sanzioni UE. Si può affermare quindi che Expo, oltre ai grossi scandali, ha avuto anche un ruolo positivo per il nostro Paese?
Noi ci siamo battuti contro Expo, ma non perché eravamo contrari alla manifestazione Expo in sé e a quello che avrebbe portato in Italia: noi ci siamo battuti contro quel tipo di Expo che hanno costruito, perché un’area come l’abbiamo vista noi nel marzo 2014 quando siamo andati nell’area Expo, in cui tutta l’infrastruttura di una città è stata creata con un giro di corruzione, con un giro di mazzette e con un giro di appalti che hanno poi portato al processo che si svolgerà nei prossimi mesi… ecco, queste situazioni ci hanno fatto capire che noi dovevamo batterci contro quel tipo di Expo, così come l’avevano pensato i partiti, così come l’aveva voluto Matteo Renzi, così come l’aveva voluto il PD. Ma eravamo favorevoli ad un’Expo sostenibile, cioè fatta in un altro modo. Quindi se si fosse seguita la strada che non solo noi, ma anche i comitati milanesi e il Politecnico di Milano avevano indicato come “Expo sostenibile”, costruito in maniera diversa, avremmo avuto una doppia vittoria. In questo caso è vero: la manifestazione ha funzionato, ma noi quella battaglia l’abbiamo fatta e continueremo a farla, perché non dobbiamo pensare semplicemente di batterci per qualcosa in cui crediamo anche se poi porta dei risultati positivi. Quindi non si possono chiudere gli occhi e dire: “Vabbé, siccome Expo è andato bene e siccome sono aumentati gli export italiani nel mondo allora è stato sbagliato battersi contro la corruzione e contro quello che ha generato questa manifestazione”. Quella impostazione, quella battaglia era giusta e noi dovevamo farla, perché ci credevamo e ci continuiamo a credere. Speriamo che prossimamente, proprio per quello che è la nostra battaglia e la nostra contrarietà, tutte le manifestazioni che arriveranno siano costruite e fatte in maniera diversa. Il tema dell’anticorruzione è un tema che in Italia è la priorità, dovrà sempre di più esserlo, ed è lì che bisogna andare a battere, perché di Expo ne dovremo fare tantissime, non una, tantissime di manifestazioni simili per valorizzare il Made in Italy, però appunto fatte con la prevenzione alla corruzione, che in questo Paese purtroppo ancora manca completamente.
Un’ultima domanda, On. Sarti, su Italia 5 Stelle: pensa che questa manifestazione di due giorni possa essere una vincente spinta propulsiva per mandare il M5S al governo presto?
Magari, magari bastasse solo Italia 5 Stelle. Questo è un passo, un passo nella direzione che noi abbiamo intrapreso da ormai sei anni, da quando è nato il Movimento 5 Stelle. Di luoghi di ritrovo che ne sono stati tanti, è bellissimo vedere che siamo noi parlamentari, come i Consiglieri regionali, tutti gli attivisti, ecc., si mettono a disposizione dei cittadini, e c’è questo scambio d’informazione. Abbiamo raccolto tante segnalazioni in questi due giorni, parlato con tante persone: questi momenti servono a noi per crescere e per motivarci ancora di più, e soprattutto per motivare anche i cittadini che credono in questo progetto e hanno voglia di darsi da fare. Il governo purtroppo probabilmente continuerà a durare, perché sono ancorati alle poltrone in una maniera veramente indegna. Ma questa è ovviamente la speranza che noi abbiamo: di far cadere il governo e di far tornare i cittadini al voto. Per questo continueremo a batterci. E dico anche che il prossimo anno ci sarà secondo me una delle prove più importanti, e cioè il referendum sulle riforme costituzionali avviate da questo governo. Lì i cittadini saranno finalmente chiamati ad esprimersi e lì avremo anche la possibilità di far comprendere ai cittadini quello che è successo in Parlamento, e come alla fine abbiamo persone non votate da nessuno che però stanno decidendo per tutti. Quindi, noi ci siamo e come ho detto questo è solo un piccolo passo nella direzione non solo di mandare via questo governo, ma anche di poter governare noi il prima possibile questo Paese, tutti insieme.

domenica 18 ottobre 2015

Enrico Mentana - Il direttore del TgLa7 spiega: “Siamo abituati ai comportamenti degli altri partiti, ma loro sono diversi”

“Roma e Napoli non gli interessano”


Direttore Enrico Mentana, anche lei pensa che il Movimento Cinque stelle potrebbe vincere facile questa volta in città come Roma e Napoli, se solo candidasse Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio, mettendo da parte le proprie regole che lo vietano?
Questo dibattito mi ricorda quelli simili di chi chiede che la Chiesa, per esempio, si apra sui temi etici. La Chiesa fa la Chiesa.
E, quindi, i Cinque stelle non possono cambiare le loro regole?
Poi magari le cambieranno anche. Ricordiamoci che solo lo scorso anno Beppe Grillo al Circo Massimo teorizzò il rifiuto totale alle partecipazioni televisive dei suoi. Mi pare proprio che abbiano cambiato idea. Io credo che loro cambieranno quando capiranno che gli converrà farlo.
Quindi lei non crede che gli convenga vincere a Napoli e Roma, ad esempio?
Noi addetti ai lavori, opinionisti e osservatori siamo abituati ai partiti in un altro modo. Ma loro sono nati e cresciuti con uno spirito diverso, perché dovremmo spiegargli noi come si sta al mondo? Non ne siamo in grado e neppure ne abbiamo diritto.
Invece pare che Grillo abbia lasciato intendere la possibilità di Di Maio candidato premier. Gli è scappato un “non è certo”.
Quello magari sarebbe più in linea anche con le loro regole, è già parlamentare... poi non sappiamo ancora quale sarà la legge elettorale e quando si voterà per le politiche. Altro discorso per i candidati a Roma e Napoli, le elezioni sono certe in primavera e loro ragionano con un’altra logica rispetto agli altri e alle nostre abitudini, come dicevo prima.
C’è anche l’ipotesi che potrebbero non ritenere strategico vincere in quelle città, Roma e Napoli potrebbero essere rogne... è possibile sia così?
Sì, assolutamente. Potrebbe non interessargli vincere. Per loro potrebbe essere più importante in questa fase mantenere la regola di far scegliere il candidato alla rete escludendo dalla corsa chi ha incarichi in altre istituzioni. Ma per questo dico che siamo abituati ad altre modalità e non ci rendiamo conto di essere di fronte a un fenomeno nuovo: chi poteva immaginare che da zero alle politiche del 2013 avrebbero ottenuto il 25 per cento dei voti? Loro fanno legittimamente le loro scelte, condivisibili o meno. E a noi rimane la scelta di votarli o non votarli.
Insomma, siamo noi che non capiamo?

Credo che forse dipende anche dal fatto che spesso i Cinque stelle hanno un atteggiamento indisponente verso la libera stampa, che qualche volta proprio così libera, però, neppure lo è. E questo, comunque, non basta a giustificare un nostro arrogarci il diritto a dettare la linea al Movimento cinque stelle.

Tra voglia di vincere e di restare opposizione

Il governo subito: Di Maio e Di Battista sfidano i fondatori

A Imola la base Cinque stelle consacra i due giovani deputati Grillo: “Se un giorno dovessimo fallire, prendetevela con loro”



A questo punto della storia, quando il boom delle elezioni è lontano di due anni e mezzo e altrettanti ne mancano, almeno sulla carta, per la prossima chiamata alle urne, il Movimento fa il suo giro di boa. I due guru, Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, restano la garanzia di fedeltà al metodo Cinque stelle. I due emergenti, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista testimoniano pari fede, ma ormai hanno preso la loro strada. Così, a Imola, al raduno nazionale di parlamentari, sindaci, consiglieri e militanti, si schierano le truppe. Da una parte la linea ostile alla “vittoria a tutti i costi”, per qualcuno supportata perfino dalla teoria secondo cui restare all'opposizione è ossigeno inesauribile per la vita politica del Movimento. Dall'altra la consapevolezza che l’occasione di oggi è unica e irripetibile. E che se c’è qualcuno che può giocarsela, ha la faccia del napoletano moderato e dell’agit-prop capitolino.
Regole inviolabili e ambizioni nazionali Non correranno nelle loro città, Napoli e Roma, che pure sono prossime al voto perché le regole sono regole. E soprattutto perché Di Maio e Di Battista preferiscono muoversi già da salvatori della patria, convinti che la partita per il governo sia appena cominciata. La platea di Imola è la consacrazione che mancava. Al di là delle assemblee locali, della vetrina del Parlamento, delle passerelle tv, è qui – in questo raduno che loro stessi chiamano della “maturità” – che Di Maio e Di Battista si confrontano con la base. Si muovono separati, ma fanno gioco di coppia. Uno pronto a proporsi come biglietto da visita del Movimento per l’eletto rato meno estremista, l’altro in pista per continuare a tenere in allerta la pancia grillina. Quando sale sul palco di Imola, alle 9 della sera, Di Maio è reduce da una giornata che non è filata proprio liscia. Al mattino, Grillo e Casaleggio, rispondendo ai cronisti, hanno detto che “non si sa” se sarà lui il candidato premier M5s.
Non ha gradito, Di Maio. E lo staff della comunicazione ha avviato un complesso lavoro per smorzare i titoli dei siti internet che già parlavano del “gelo” tra Grillo e il suo discepolo. Il discorso da premier e il ritorno 
all'utopia Poco importa, comunque, quello che scrivono i giornali. Di Maio il suo discorso da candidato premier, lo fa e basta. Già calato nella narrazione (“Ognuno di voi - dice alla platea - avrà la sua occasione per cambiare la storia di questo Paese”); già incline all'inclusione (“Dovremo fare in modo che tutti, anche quelli che non ci hanno votato, potranno partecipare alle scelte collettive”); già volto rassicurante (“Noi non vogliamo entrare nelle istituzioni per occuparle, ma per restituirle chiavi in mano ai cittadini”). “Quando andremo al governo”, ripete Di Maio - che attacca Verdini, “i voltagabbana” e tutti quelli che sostengono Renzi, “il terzo premier senza legittimazione popolare” - il problema “non saranno i nomi”, dice il vicepresidente della Camera. Che sarà una squadra di governo (premier compreso) completamente scelta dagli iscritti lo dice Gianroberto Casaleggio, che sale sul palco dopo di lui.
Eppure, con quel pastrano scuro, con quel discorso che inciampa e con 
quell'esordio a frenare la folla (“Calmi, calmi”), sembra venire da un altro mondo. “Non possiamo stare all'opposizione per troppo tempo – dice anche lui – tanto peggio dei partiti non possiamo fare”. Però il come e il quando sono meno determinati di quanto sembrasse. Un p o’ perché il co-fondatore M5S ammette di temere manovre non meglio precisate: “Non ci vogliono far votare” (il consigliere comunale di Roma Marcello De Vito, a margine, arriverà ad adombrare l’ipotesi di un decreto a febbraio, per evitare le urne a Roma). Un po’, prosegue Casaleggio, perché “dobbiamo andare al governo sì, ma senza fretta perché noi siamo il trend del futuro”. L’idea, l’utopia. Grillo si avvicina. Chiede a Casaleggio di restare sul palco. E chiarisce il punto: “Voi ci amate, ci applaudite, gridate onestà. Ma io so benissimo che se non riusciremo a soddisfare tutte le cose che stiamo dicendo qua, so chi verrete a cercare: ma siamo già corsi ai ripari, nel giro di 24 ore spariremo e lasceremo qua Di Maio e Di Battista”. Selfie, suppliche e politici di professione Giù, lo hanno già capito. Ieri si sono visti, tra gli altri: fidanzati spingere le proprie compagne verso Di Maio (“Dai, vai, non ti devi vergognare”), signore al limite dello stalking (“Io non me ne vado da qui finché non ho fatto una foto con Alessandro ”), sfottò irriverenti (“Dai, dai forza con ‘sti selfie”, dice Di Battista a quelli che lo circondano), suppliche nervose (“C’è la Taverna, fatele con lei le foto!”, ha sbottato Di Maio). Perfino la scorta (una “task force” di volontari addetti alla sicurezza) è in brodo di giuggiole: “Di Maio è un signore, un signore veramente”. Il palco, per Di Battista, arriverà solo oggi. Ora si limita ad allargare lo sguardo e a ripetere: “Che bella Italia”. Dice che rispetto al Circo Massimo di un anno fa, gli elettori sono cresciuti, hanno studiato, è convinto che il messaggio abbia fatto breccia. Distribuisce volantini alla folla adorante: “Questo è sulla scuola! Questo è sui soldi ai partiti! Solo proposte, zero proteste!”. Un attivista lo guarda, tra l’ammirazione e lo sconforto: “Aiuto, io non ce la farei mai a fare il politico di professione”.

martedì 13 ottobre 2015

M5s, il caso Di Battista-sindaco e il ‘problema’ della coerenza

Molti elettori 5 Stelle si sono arrabbiati un po’ perché a Otto e mezzo ho detto che la non candidatura di Alessandro Di Battista a sindaco di Roma è “un errore politico clamoroso”. Ribadisco quanto affermato venerdì scorso, e anzi trovo inaudito che ci sia ancora gente che osa addirittura contraddirmi. Incredibile. Non è la prima volta che i talebani ortodossi mi crivellano. Probabilmente sono gli stessi che fino a qualche mese fa non volevano che i 5 Stelle andassero in tivù, e adesso mettono il MySky alle 3 di notte per registrare Vito Crimi che si intervista da solo nelle repliche di Protestantesimo. Scherzi a parte, la vicenda Di Battista-Roma, ma pure quella Di Maio-Napoli, offre molti spunti. E porta a una conclusione: qualsiasi cosa facciano, i Cinque Stelle sbagliano.
C’è una soluzione? No, non c’è. Di Battista sarebbe il candidato più forte a Roma e Di Maio a Napoli. Però non si candidano. Questo, tecnicamente e oggettivamente, è un “errore politico clamoroso” (cit). Comunque la si giri, è un regalo a centrosinistra e centrodestra. Al tempo stesso, e per questo dico che i 5 Stelle sbagliano qualsiasi cosa facciano, Di Battista e Di Maio verrebbero massacrati se si candidassero. Significherebbe non rispettare il regolamento; vorrebbe dire mangiarsi la parola data; equivarrebbe al comportarsi come una Moretti qualsiasi. Se si candidano forse vincono, però sono incoerenti; se non si candidano non vincono di sicuro (a meno che non accada qualcosa che vi racconto a fine pezzo), però restano coerenti. Vicolo cieco.
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Perché un vicolo cieco? Perché la natura stessa del M5S porta spesso a un bivio secondo il quale essere fedeli a se stessi conduce (forse) nel medio-lungo periodo a grandi risultati, ma nel breve periodo equivale sistematicamente al perdere treni della vita. Esempio tra i tanti: alle seconde Quirinarie, mentre Renzi indovinava la mossa della sfinge (Mattarella), i 5 Stelle optavano ilari per il tanto stimabile quanto politicamente irrilevante Imposimato. Che dire? Complimenti. Renzi fu molto fiero di voi.
Sì, ma le regole? I talebani ortodossi, a questo punto, replicano piccati: “Esistono le regole, se fai queste critiche allora non hai capito nulla del Movimento”. Sì ragazzi, buonanotte e attenti agli asini che volano in cielo. Le regole ci sono, ma esiste anche l’elasticità. Quella stessa elasticità che ha portato alla mossa Freccero-Rai. Ci sono dei momenti, nella storia, in cui le regole vanno “forzate” senza con questo diventare “ladri” o “disonesti”. I 5 Stelle lo hanno già fatto e lo faranno sempre più spesso, a meno che l’obiettivo non sia stare all’opposizione in eterno.
Di Battista sarebbe un buon sindaco? E io che ne so. Di sicuro oggi sarebbe il favorito, come pure Di Maio a Napoli. Entrambi non cambieranno mai idea e personalmente li capisco. Vogliono mantenere la parola data, credono nel loro ruolo attuale e il prossimo sindaco di Roma dovrà affrontare uno scenario drammatico. L’impresa sarà quasi disperata. Comprensibile che entrambi, peraltro nel rispetto delle regole, scelgano di restare in Parlamento.
Sì, ma restare in Parlamento quanto? Altro problema, altro vicolo cieco. I 5 Stelle, nella loro idea utopica di politica fatta non da “professionisti” ma da cittadini, impongono il limite dei due mandati. Altrimenti, dal terzo in poi, si diventa come gli altri. Tutto molto bello, almeno sulla carta. Il risultato concreto, però, è che Di Maio (oggi 29enne) potrà fare politica al massimo fino al 2023. Poi basta (a 36 anni). Non è uno spreco? Non significa, ogni volta, buttare via esponenti credibili che nel frattempo sono cresciuti? E’ meraviglioso sapere che presto non vedremo più in Parlamento le Fucksia, i Giarrusso e le Lombardi (di chi era l’idea? Di Orfini?). E’ appena meno condivisibile rinunciare anzitempo a evidenti talenti politici.
E allora cosa fare? Ripeto: io che ne so? Starà al M5S valutare, col tempo, se alcune mannaie regolamentari andranno qua e là modificate. Di sicuro, riguardo a Roma e Milano, l’unica strada – se vogliono vincere – è allargare la rosa dei candidati anche a chi non ha necessariamente una lunga storia grillina alle spalle. Se si sceglie il solito sconosciuto tramite il web, si conquista il Premio Duriepuri 2015 ma non si vince mai (non nelle grandi città, almeno). Capisco che sia cinico e ingiusto, perché “dovrebbe contare il programma e non la persona”, ma viviamo in Italia e non a Utopia. Quindi serve un nome “forte”, vicino al Movimento ma non per forza un militante di lunga data. In Liguria, per un po’, si fece il nome di Freccero. A Milano si è parlato di un appoggio (subito stroncato) a Di Pietro. A Roma leggo nomi fantasiosi, tipo Santoro (ma non lo odiavate fino a ieri?), Imposimato (ancora?) o Di Matteo (persona rara e preziosa). Il nome non sarà facile. Se però sceglieranno il solito bravo ragazzo imberbe, gli unici a festeggiare saranno Marchini, o Meloni, o Renzi. Perdere felici o vincere sporcandosi un po’? Questo, a volte, è il problema.

sabato 10 ottobre 2015

Corsa alla poltrona di Sindaco: sceglierà la rete

Cinque stelle, resta favorito De Vito per candidatura bis


Niente big ma un candidato scelto dagli iscritti, perché le regole vanno preservate. Il M5s si prepara alla corsa per la Capitale accelerando le procedure per il voto: sul web, quasi certamente, oppure tramite assemblee territoriali, schema che sta venendo sperimentato a Milano. La certezza è che il candidato sindaco verrà scelto tra e dagli iscritti, come prevede il regolamento. Nessuna deroga per Alessandro Di Battista, pure invocato da tantissimi attivisti, o per Roberta Lombardi. Pronta a candidarsi, se le norme lo concedessero. Ma dalla casa madre di Milano sono stati chiari: nessuno strappo. E allora, dritti con la selezione: probabilmente sul web, perché il tempo è poco. Il prescelto potrà godere del pieno appoggio in campagna elettorale dei big romani. Di Battista, Lombardi e Paola Taverna saranno sui palchi con il candidato per una campagna elettorale di respiro nazionale. Il favorito rimane Marcello De Vito (in foto), già candidato sindaco nel 2013. L’obiettivo è prendere una percentuale molto alta. Ma conquistare il Campidoglio sarebbe anche un rischio. “Il timore –sussurrava ieri un parlamentare – è che gestire Roma si riveli un macigno, e che questo ci possa penalizzare alle Politiche”.

venerdì 9 ottobre 2015

L’ordine di Renzi all’alba: “Cacciatelo” Voto in primavera

Nel Pd c’è chi punta su Giachetti, ma non tramonta
l’ipotesi Alfio Marchini 
(corteggiato anche da Berlusconi)


Marino se ne deve andare. Cacciatelo”. Matteo Renzi al l’alba di ieri ha dato l’ordine. “Noi ce l’abbiamo messa tutta per aiutarlo. La nuova Giunta stava funzionando. Ma poi, le menzogne sul l’invito negli Usa, il Papa che l’ha scaricato e queste spese con la carta di credito: è una scelta politica ineludibile”. La versione ufficiale renziana, riportata dai vicinissimi del premier, suona così. Ma come, il sindaco che ha denunciato Mafia Capitale? “Quella è una roba che non c’entra niente con noi”, si difendono ancora i Renzi boys, che Marino non lo hanno mai tollerato.
“Si vota in primavera”. Sono passati sì e no cinque minuti da quando il sindaco si è dimesso “con riserva” quando Lorenzo Guerini, vice segretario dem chiarisce che la battaglia stavolta è finita per sempre. E annuncia pure che l’idea di Renzi di rimandare le elezioni all’autunno è tramontata. Ora, verrà nominato un commissario: il premier avrebbe voluto prolungarlo. Il voto fa paura, la sconfitta è data quasi per scontata e rischia di impattare negativamente su una tornata amministrativa importante (in primavera si vota anche a Torino, Bologna, Milano e Napoli). Per questo Renzi ha cercato un cavillo, una legge, che gli permettesse di spostare la data. Sono girate le ipotesi più strampalate, dalla modifica della Costituzione a fare appello a un ipotetico dissesto finanziario. Ma la legge è (ancora) legge: non si può fare. Per il commissario, circolano i nomi del prefetto Vito Rizzi, del vice capo della polizia Alessandro Marangoni e dell’ex prefetto Mario Morcone. Sarà uno di loro ad affiancare Franco Gabrielli, che ha i poteri sul Giubileo. Si tratta di individuare un candidato sindaco. Già al vaglio una serie di nomi. Il primo è il deputato Roberto Giachetti, che però non lo vuole fare assolutamente. Poi c’è Marianna Madia, ministro della Pa. Fuori dalla politica, si parla del presidente del Coni, Giovanni Malagò, che potrebbe, con tanto di Olimpiadi a Roma, mettere totalmente le mani sulla Capitale. E lo stesso Gabrielli, anche lui tiepido. Da valutare il caso Alfio Marchini, l’imprenditore che è già in campo con una lista civica. Pare che abbia già chiuso l’accordo con Berlusconi e Salvini (e anche con la Meloni), ma tra le tentazioni del segretario-premier c’è anche quella di portarlo dalla sua parte. Battuta di un renziano: “Così, il partito della Nazione si realizza a Roma”. Marchini parte favorito. E se dovesse vincere, per Renzi sarebbe un problema grave. Perché tra le considerazioni che si fanno in queste ore tra Nazareno e Palazzo Chigi c’è anche quella che, in caso vincesse un grillino, dopo un anno il Movimento mostrerebbe tutta la sua incapacità di governare, fornendo un traino al Pd per le politiche.

Il movimento, intanto, ci pensa: il candidato sarà scelto dalla Rete. Potrebbe essere Marcello De Vito, che a Roma si era già candidato. Alessandro Di Battista e Roberta Lombardi (che ieri prima è parsa candidarsi e poi s’è smentita) hanno fatto un passo indietro. Nel Pd è anche l’ora delle accuse: a metterci la faccia sul rimpasto in Giunta quest’estate era stato il commissario Pd di Roma, Matteo Orfini. A fare muro anche con Renzi rispetto all’ipotesi di cacciarlo. È stato lui alla fine a chiamare il premier e a dirgli che era d’accordo a mollarlo. Ma sono già in molti a volere la sua testa. Roma è il problema numero 1, ma non il solo: a Torino, dovrebbe ricandidarsi sindaco Fassino, che non è entusiasta. A Napoli, si punta a presentare alle primarie Bassolino, pur sapendo che va a perdere. A Milano si faranno le primarie, ma si stenta a individuare un profilo. A Bologna, la ricandidatura di Merola per Renzi sarebbe un ripiego. Ma non ha chiare le alternative. Il segretario-premier non ha uomini suoi su cui puntare. Lo stesso copione delle ultime Regionali.

giovedì 8 ottobre 2015

Marino, aragoste e bugie “Restituisco i soldi delle cene”

Dichiarazioni inesatte su pranzi e viaggi.
Lui nega: “Ma pagherò 20 mila euro di tasca mia”


L’ultima dichiarazione di Ignazio Marino che non corrisponde al vero è quella firmata il 5 maggio del 2015: “Con riferimento al pagamento di euro 125,00 effettuato in data 4 maggio 2015 in favore del ristorante ‘Tre Galli’ di Torino, con la carta di credito per la carica di sindaco, dichiara sotto la propria responsabilità che detto pagamento è relativo a una cena offerta per motivi istituzionali a don Damiano Modena incontrato ad Alessandria in occasione della presentazione del suo libro. In fede. Prof. Ignazio R. Marino”. Peccato che la cena fosse a Torino e don Damiano Modena, dopo la presentazione, abbia dormito ad Alessandria. Marino, ha raccontato il prelato al Corriere della Sera ieri, andò via prima della fine dell’incontro. Al ristorante di Torino “I tre Galli” raccontano: “Marino quella sera era con 4 persone. Uno di loro prese solo un tè perché non stava bene. Gli altri hanno mangiato con lui”.


Chi ha bevuto il Gattinara Tre vigne da 37 euro? Chi ha mangiato i due piatti di agnolotti e i due sottofiletti di fassona più una selezione di formaggi per un conto di 125 euro? Mistero, buffo certo, ma mistero. Se Ignazio Marino pensava di fermare le polemiche sollevate dal M5S con la pubblicazione on line sul sito del Comune delle sue note spese, ha sbagliato strategia. Marcello De Vito, già candidato sindaco del M5S, con altri tre colleghi ieri ha depositato alla Procura di Roma un esposto di sette pagine nel quale segnala ai pm quattro episodi sospetti: la cena del 26 dicembre 2013 al Girarrosto Toscano con un conto da 260 euro pagata dai contribuenti nonostante Marino (come dichiarato dal ristoratore al Corriere della Sera e poi ritrattato e poi riaffermato al Tg4 davanti a una telecamera nascosta) fosse con la famiglia; la cena del 5 ottobre 2013 presso il Ristorante Archimede di Sant'Eustachio (104 euro) al quale avrebbe dovuto partecipare un esponente dell'ospedale San Filippo Neri e quella del 26 ottobre 2013 al Sapore di mare (150 euro) alla quale avrebbero dovuto partecipare rappresentanti della Comunità di Sant'Egidio che però ai giornali dicono di non saperne nulla. Il M5S invoca un’indagine anche sulla trasferta americana per la quale non è stata fornita ancora la documentazione. Non basta: l’avvocato del M5S, Paolo Morricone, presto tornerà in Procura a integrare l’esposto. Ogni giorno spuntano nuove cene sospette. Oltre ai Tre Galli di Torino c’è da aggiungere la Taverna degli amici, a Roma, il 27 luglio 2013, un mese dopo l’elezione. Per giustificare la spesa di 120 euro Marino dichiara “sotto la propria responsabilità che detto pagamento è relativo a una cena offerta per motivi istituzionali a un rappresentante del Who”, cioè l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Però il ristoratore ‘Maurizio’ avrebbe detto al Corriere che in realtà avrebbe bevuto un Jermann Vintage Tunina da 55 euro con la moglie. Altro che Who.


Quando c’è a tavola la pregiata cantina Jermann Marino perde i freni inibitori: il 10 agosto 2014 al Sapore di Mare ha innaffiato una cena a base di pesce per tre persone con una bottiglia di Capo Martino da 80 euro. Il 16 novembre raddoppia pagando 160 euro due bottiglie di Capo Martino. Il primo novembre del 2014 ordina un Were dreams e il 14 dicembre torna al Vintage Tunina brindando ai miliardi di debito di Roma Capitale con una bottiglia da 80 euro che accompagna 10 spaghetti all’aragosta. Una somma che, per giunta per un vino bianco, è un’enormità. C’è poi una stranezza: Marino il 25 febbraio 2015 cena all’Archimede Sant’Eustachio con quattro persone e paga alle 23 e 42 con la carta del comune ben 304 euro. Sostiene di ospitare “operatori del settore turistico”. E sia. Però non basta. Un minuto dopo striscia ancora la carta per altri 141 euro per altri tre pasti. Per ottenere il rimborso di questa seconda ricevuta sostiene si tratti di “una cena del 11 settembre 2014 offerta per motivi istituzionali a due esperti di bandi e finanziamenti europei”. Marino dichiara che alla cena avrebbe spedito all’ultimo momento l’assessora Alessandra Cattoi perché lui era impegnato. Dall’entourage del sindaco spiegano che probabilmente il conto era rimasto aperto per sette mesi.
La Procura di Roma ha aperto un fascicolo per ora senza ipotesi di reato e contro ignoti. La prima mossa è l’acquisizione del regolamento comunale che disciplina l’uso della carta del sindaco. Poi bisognerà ascoltare i ristoratori che smentiscono le note spese e solo alla fine il sostituto procuratore Roberto Felici dovrebbe sentire la versione di Marino. Intanto il sindaco con un gesto a sorpresa ha annunciato che pagherà di tasca sua tutte le spese sostenute con la carta. “In questi due anni – fa sapere Marino – ho speso con la carta meno di 20 mila euro per rappresentanza e nell’interesse della città. È di questo che mi si accusa? Bene, ho deciso di regalarli tutti di tasca mia a Roma e di non avere più una carta di credito del Comune a mio nome”. Alessandro Di Battista, nella conferenza stampa del M5S non si accontenta: “È una questione morale. Marino si deve dimettere”.