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lunedì 14 settembre 2015

Xylella, l’unico turista non gradito nel Salento

NESSUN RIMEDIO
È iniziata la raccolta delle olive, quest’anno va meglio del 2014,
ma l’epidemia sta avanzando verso nord
E la Procura di Lecce indaga per diffusione colposa di una malattia delle piante




Tra poche settimane, in tutta Italia, partirà la raccolta delle olive. L’annata è buona, ma in Puglia un calo, anche se minimo, ci sarà a causa del numero di piante abbattute o malate. Un dramma che per gli agricoltori pugliesi si chiama Xylella fastidiosa. Era l’ottobre del 2013 quando venne accertata qui la presenza del patogeno da quarantena, cui viene attribuito (ma al momento non c’è certezza scientifica) il disseccamento rapido degli ulivi. A due anni di distanza una cura non c’è e lo stato di emergenza dichiarato nel febbraio 2015 è stato prorogato di altri sei mesi dal Consiglio dei ministri. L’epidemia, intanto, avanza verso nord. Gli ultimi focolai sono stati individuati durante l’estate a Torchiarolo. Nel frattempo, la Procura di Lecce continua a indagare per diffusione colposa di una malattia delle piante. A fronte di un’emergenza senza precedenti in Italia, la parola d’ordine è eradicare le piante infette. “Infette”, non secche. Perché, spiega la dottoressa Anna Percoco, funzionaria dell’Osservatorio Fitosanitario della Regione Puglia, “nel momento in cui si accerta la presenza di Xylella, anche se la pianta non riporta segni evidenti di disseccamento, essendo un batterio da quarantena, per legge ho l’obbligo di eradicarla”. Ma gli abbattimenti sono solo una misura di contenimento, non di cura. E per renderla più indolore, evitando le proteste, il nuovo piano del commissario straordinario Giuseppe Silletti, da approvare entro fine mese, prevede la formula del contributo pubblico all’espianto. Il territorio pugliese è stato suddiviso in quattro aree: la zona a nord, di sorveglianza (con una superficie di uliveti pari 46.169 ettari); quella cuscinetto (32.020 ettari); una di contenimento (24.708 ettari) e l'area a sud, la più colpita (dove ormai non si effettuano più il monitoraggio). Le aree infette sono distribuite su 113.370 ettari, ma come spiega Silvio Schito, dirigente dell’Osservatorio Fitosanitario, “il dato riferito alle superfici monitorate in termini di ettari non è facilmente quantificabile”. Le piante finora abbattute sono circa 200.
“È una malattia nuova – dice Donato Boscia responsabile dell’Istituto di Virologia del Cnr di Bari –fino a questo momento non c’è nessuna evidenza di reversibilità né segnali di ripresa”. La situazione è complessa, si lavora con difficoltà. “I dati a disposizione sono carenti”, spiega il professor Boscia. Lo conferma lo stesso Schito: “Non è facile quantificare le superfici controllate, le nostre priorità sono le zone cuscinetto, di sorveglianza e la zona di 20 km di contenimento, ma per la vastità del territorio e considerato che allo stato attuale le risorse umane costituiscono il fattore limitante, si sta dando precedenza alle zone a rischio”. Carenza di risorse umane, dunque. Allora perché non coinvolgere studenti e ricercatori? Fino ad oggi, salvo l’annuncio del ministro Martina di un finanziamento di 4 milioni di euro per una ricerca, non c’è stato alcun bando dedicato. Lo denunciava diversi mesi fa anche il deputato pugliese Giuseppe L’Abbate (M5S) sul suo blog: “Con i finanziamenti ricevuti, la giunta guidata da Vendola avrebbe dovuto predisporre un bando dedicato al mondo scientifico per studiare il fenomeno e gestire il futuro che attende i coltivatori pugliesi. E, invece...”. Invece, c’è chi si è messo a lavoro da solo. “In sei mesi, abbiamo speso almeno 30 mila euro di tasca nostra”, dice Fabio Ingrosso, a capo di Copagri Lecce. A maggio sono state avviate le sperimentazioni per provare a curare dieci ettari. Le piante, molte delle quali date per spacciate, hanno ripreso a vegetare. Ma a crederci sono solo loro: confederazione agricola, dodici aziende che hanno messo a disposizione i terreni e due ricercatori dell’Università di Foggia, Antonia Carlucci e Francesco Lops, che lavorano gratis. Si procede per tentativi. A Veglie, rischiano di essere abbattuti alberi sottoposti alla cura del professor Marco Scortichini, direttore del Crea di Caserta, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria. È stato lui a redigere il protocollo di diagnosi di Xylella per l’Organizzazione Europea per la Protezione delle Piante. Da dicembre somministra agli ulivi estratti di rame e zinco. “I tagli sono inutili. Non si capisce – spiega Scortichini –che per la prima volta al mondo si sta facendo una sperimentazione ampia, direttamente in campo per il controllo di Xylella su una pianta ospite primaria”.
Oltre al supporto, si aspetta il coordinamento di queste esperienze: nel 2010, sono stati avviati campi di prova contro la lebbra dell’ulivo, un’altra fitopatia. Non si è saputo nulla. L’unica certezza è che sono sorti intorno a Gallipoli, proprio nell’area e nel momento in cui anche questa storia ha avuto inizio. Una coincidenza che non sfugge a chi da oltre un anno indaga, a carico di ignoti, per diffusione colposa di una malattia delle piante. La Procura di Lecce fatica ad avere risposte. È certo che in quell’occasione sono stati testati prodotti autorizzati eccezionalmente. Se n’è fatto un uso improprio? Gli interrogativi, tanti, restano sulla scrivania dei pubblici ministeri della Procura Elsa Valeria Mignone e Roberta Licci.
Sono stati chiesti altri sei mesi di tempo per concludere le indagini, delegate al Nipaf del Corpo Forestale dello Stato. Si aspettano le relazioni dei consulenti, soprattutto di quello informatico, che sta passando al setaccio i pc sequestrati ai ricercatori del Cnr di Bari e del Dipartimento di Scienze del suolo dell’Università di Bari. L’obiettivo è capire se Xylella sia mai stata riscontrata prima dell’ottobre 2013, data in cui è stata certificata la sua presenza. Perché i conti non tornano: per prima cosa, già nell’autunno 2011 erano stati segnalati sintomi di disseccamento degli ulivi, ma si è intervenuti solo due anni dopo. E poi, nell’ottobre 2010, presso l’Istituto agronomico mediterraneo di Bari, è stato formato personale per fronteggiare un rischio ipotetico di introduzione in Europa di Xylella, ciò che in seguito si è verificato davvero. Preveggenza?

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