A Miami è “partito” il nuovo round di negoziatimentre in Europa crescono le proteste control’accordo di libero scambio transatlantico
Quando la Fiat ricomincerà a esportare Alfa Romeo negli
Stati Uniti, vuole poter applicare le stesse cinture di sicurezza omologate in
Europa, invece di doverne installare di diverse per rispettare la
regolamentazione americana, con un inevitabile aggravio di costi. Si trovano
decine di esempi così a sostegno del trattato commerciale tra Europa e Stati
Uniti che si discute in questi giorni a Miami, in un nuovo “round” di
negoziati. Per le oltre centomila persone che dieci giorni fa hanno protestato
a Berlino mette a rischio la sovranità dei cittadini europei, i loro posti di
lavoro, la salute. La ragione principale per cui il Transatlantic Trade and
Investment Partnership (Partenariato transatlantico per commercio e investimenti,
Ttip) suscita tanta diffidenza è che se ne sa molto poco.
Di solito gli accordi commerciali riducono i dazi o le
tariffe, tasse che servono a scoraggiare le importazioni dall’estero a
vantaggio dei beni nazionali. Il Ttip interviene invece sulle barriere non
tariffarie, differenze nelle regole tra Europa e Stati Uniti che possono
vietare o complicare la vendita di un prodotto nell’altro continente. Su una
sponda dell’atlantico la qualità delle ostriche si misura esaminando il
mollusco, sull’altra sponda si analizza l’acqua di allevamento. Gli stessi
medicinali devono sottoporsi due volte ai medesimi test prima di arrivare sul
mercato. Misurare l’impatto economico di un’armonizzazione di regole è
praticamente impossibile. E infatti le stime sono vaghe, si parla di mezzo
punto di Pil all’anno in più per l’Europa , sull’Italia Confindustria si
aspetta 30.000 posti di lavoro aggiuntivi. Esistono almeno cinque modi diversi,
tra economisti, per stimare l’impatto delle “misure non tariffarie”. E non
sempre la regolazione non ha come scopo il protezionismo ma la tutela della
salute o la garanzia di qualità. Molti sono convinti che il Ttip sarà una
catastrofe.
Ma, come gli ottimisti, si basano più su sensazioni che su dati.
Dopo molte pressioni, la Commissione europea ora rende pubbliche le sue
posizioni negoziali, non si può conoscere invece il compromesso raggiunto con
gli americani nelle segrete stanze. Massimo riserbo, o il negoziato rischia.
Negli accordi commerciali qualcuno vince e qualcuno perde, la trasparenza offre
alle lobby l’occasione di prevenire i danni. E quindi il risultato finale può
rispecchiare la forza contrattuale delle categorie, più che l’interesse
generale. Ma che garanzia c’è che, nel massimo riserbo, le lobby non agiscano allo
stesso modo? “ Il Parlamento avrà comunque l’ultima parola, è una novità
importante, che deriva dai nuovi poteri concessi con il trattato di Lisbona”,
spiega Bernd Lange, europarlamentare socialista che ha scritto la risoluzione
approvata a luglio, una sorta di schema che dovrebbe dare le coordinate alla
Commissione – e al suo rappresentante Ignacio Garcia Bercero – su come
negoziare con gli Usa. Per esempio che gli Ogm, gli organismi geneticamente
modificati diffusi negli Usa più che in Europa dove la regolazion (pur con
molti buchi) è abbastanza ostile, devono rimanere fuori dalla discussione.
Nessuno dei dossier discussi sembra giustificare tanto
impegno. “Il Ttip non è un soltanto un altro accordo commerciale, ma un
negoziato di nuova generazione che dovrebbe riposizionare le economie americana
ed europea in un mondo dove si è intensificata la competizione globale”,
scrivono Daniel Hamilton e Steven Blockman in un paper del think tank Ceps
(l’articolo è parte di una serie finanziata anche dalla Camera di commercio
americana). Come ha detto una volta Hillary Clinton quand’era segretario di
Stato, il Ttip è un’altra Nato, l’alleanza militare è servita a tenere gli
Stati Uniti in Europa dopo la seconda guerra mondiale per contenere la Russia
sovietica, il Ttip vuole evitare che gli Usa spostino troppo il loro baricentro
verso il Pacifico (hanno appena firmato il Tpp, con le economie asiatiche
principali Cina esclusa). Oggi gli scambi tra Usa e Ue valgono il 50 per cento
del commercio globale, 15 milioni di posti di lavoro e 5000 miliardi di
fatturato. Ma la Cina avanza.
Leggendo il Ttip con le lenti della geopolitica, all’improvviso
tutto ha senso. Si capisce perché la Russia si oppone (e finanzia i movimenti
anti-Ttip, dicono dagli Usa), perché il negoziatore americano Mike Froman dice
che non sarà un accodo chiuso ma “una piattaforma aperta”, un cantiere dove si
continuerà sempre a discutere, un modo per imporre agli altri Paesi – il primo
è il Vietnam – lo “standard transatlantico” invece che lo “standard cinese”.
Come sempre, gli Usa hanno richieste più nette dell’Europa: l’'ambasciatore
americano a Bruxelles Anthony Gardner dice che serve subito un accordo “sul
flusso dei dati” o il negoziato si arena: una sentenza della Corte di giustizia
europea ha stabilito, pochi giorni fa, che negli Usa i dati raccolti sul web
sono di fatto meno tutelati che in Europa e quindi Facebook, Google e gli atri
colossi del web non possono mandarli oltreoceano. Una decisione che può
paralizzare il business: oggi i dati sono tutto, senza le imprese sono cieche e
mute. Altri funzionari del governo americano fremono per esportare il gas
americano in Europa, da quando si estrae nelle rocce gli Usa ne hanno in
eccesso, e dare un altro colpo alla Russia di Vladimir Putin. Il percorso
comunque è ancora lungo. Ammesso che si trovi un accordo entro il 2016, poi
dovrà essere ratificato da Congresso e Parlamento europeo e poi dai 28 Paesi
dell’Unione. Ammesso che non slitti alla prossima amministrazione americana, dopo
le elezioni di novembre prossimo.
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