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mercoledì 21 ottobre 2015

Ttip Dati, energia, Cina: l’agenda segreta del trattato tra Usa e Ue

A Miami è “partito” il nuovo round di negoziatimentre in Europa crescono le proteste control’accordo di libero scambio transatlantico


Quando la Fiat ricomincerà a esportare Alfa Romeo negli Stati Uniti, vuole poter applicare le stesse cinture di sicurezza omologate in Europa, invece di doverne installare di diverse per rispettare la regolamentazione americana, con un inevitabile aggravio di costi. Si trovano decine di esempi così a sostegno del trattato commerciale tra Europa e Stati Uniti che si discute in questi giorni a Miami, in un nuovo “round” di negoziati. Per le oltre centomila persone che dieci giorni fa hanno protestato a Berlino mette a rischio la sovranità dei cittadini europei, i loro posti di lavoro, la salute. La ragione principale per cui il Transatlantic Trade and Investment Partnership (Partenariato transatlantico per commercio e investimenti, Ttip) suscita tanta diffidenza è che se ne sa molto poco.
Di solito gli accordi commerciali riducono i dazi o le tariffe, tasse che servono a scoraggiare le importazioni dall’estero a vantaggio dei beni nazionali. Il Ttip interviene invece sulle barriere non tariffarie, differenze nelle regole tra Europa e Stati Uniti che possono vietare o complicare la vendita di un prodotto nell’altro continente. Su una sponda dell’atlantico la qualità delle ostriche si misura esaminando il mollusco, sull’altra sponda si analizza l’acqua di allevamento. Gli stessi medicinali devono sottoporsi due volte ai medesimi test prima di arrivare sul mercato. Misurare l’impatto economico di un’armonizzazione di regole è praticamente impossibile. E infatti le stime sono vaghe, si parla di mezzo punto di Pil all’anno in più per l’Europa , sull’Italia Confindustria si aspetta 30.000 posti di lavoro aggiuntivi. Esistono almeno cinque modi diversi, tra economisti, per stimare l’impatto delle “misure non tariffarie”. E non sempre la regolazione non ha come scopo il protezionismo ma la tutela della salute o la garanzia di qualità. Molti sono convinti che il Ttip sarà una catastrofe.
Ma, come gli ottimisti, si basano più su sensazioni che su dati. Dopo molte pressioni, la Commissione europea ora rende pubbliche le sue posizioni negoziali, non si può conoscere invece il compromesso raggiunto con gli americani nelle segrete stanze. Massimo riserbo, o il negoziato rischia. Negli accordi commerciali qualcuno vince e qualcuno perde, la trasparenza offre alle lobby l’occasione di prevenire i danni. E quindi il risultato finale può rispecchiare la forza contrattuale delle categorie, più che l’interesse generale. Ma che garanzia c’è che, nel massimo riserbo, le lobby non agiscano allo stesso modo? “ Il Parlamento avrà comunque l’ultima parola, è una novità importante, che deriva dai nuovi poteri concessi con il trattato di Lisbona”, spiega Bernd Lange, europarlamentare socialista che ha scritto la risoluzione approvata a luglio, una sorta di schema che dovrebbe dare le coordinate alla Commissione – e al suo rappresentante Ignacio Garcia Bercero – su come negoziare con gli Usa. Per esempio che gli Ogm, gli organismi geneticamente modificati diffusi negli Usa più che in Europa dove la regolazion (pur con molti buchi) è abbastanza ostile, devono rimanere fuori dalla discussione.
Nessuno dei dossier discussi sembra giustificare tanto impegno. “Il Ttip non è un soltanto un altro accordo commerciale, ma un negoziato di nuova generazione che dovrebbe riposizionare le economie americana ed europea in un mondo dove si è intensificata la competizione globale”, scrivono Daniel Hamilton e Steven Blockman in un paper del think tank Ceps (l’articolo è parte di una serie finanziata anche dalla Camera di commercio americana). Come ha detto una volta Hillary Clinton quand’era segretario di Stato, il Ttip è un’altra Nato, l’alleanza militare è servita a tenere gli Stati Uniti in Europa dopo la seconda guerra mondiale per contenere la Russia sovietica, il Ttip vuole evitare che gli Usa spostino troppo il loro baricentro verso il Pacifico (hanno appena firmato il Tpp, con le economie asiatiche principali Cina esclusa). Oggi gli scambi tra Usa e Ue valgono il 50 per cento del commercio globale, 15 milioni di posti di lavoro e 5000 miliardi di fatturato. Ma la Cina avanza.
Leggendo il Ttip con le lenti della geopolitica, all’improvviso tutto ha senso. Si capisce perché la Russia si oppone (e finanzia i movimenti anti-Ttip, dicono dagli Usa), perché il negoziatore americano Mike Froman dice che non sarà un accodo chiuso ma “una piattaforma aperta”, un cantiere dove si continuerà sempre a discutere, un modo per imporre agli altri Paesi – il primo è il Vietnam – lo “standard transatlantico” invece che lo “standard cinese”. Come sempre, gli Usa hanno richieste più nette dell’Europa: l’'ambasciatore americano a Bruxelles Anthony Gardner dice che serve subito un accordo “sul flusso dei dati” o il negoziato si arena: una sentenza della Corte di giustizia europea ha stabilito, pochi giorni fa, che negli Usa i dati raccolti sul web sono di fatto meno tutelati che in Europa e quindi Facebook, Google e gli atri colossi del web non possono mandarli oltreoceano. Una decisione che può paralizzare il business: oggi i dati sono tutto, senza le imprese sono cieche e mute. Altri funzionari del governo americano fremono per esportare il gas americano in Europa, da quando si estrae nelle rocce gli Usa ne hanno in eccesso, e dare un altro colpo alla Russia di Vladimir Putin. Il percorso comunque è ancora lungo. Ammesso che si trovi un accordo entro il 2016, poi dovrà essere ratificato da Congresso e Parlamento europeo e poi dai 28 Paesi dell’Unione. Ammesso che non slitti alla prossima amministrazione americana, dopo le elezioni di novembre prossimo.

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