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DI BATTISTA - 11.05.2016 OTTOEMEZZO

11.05.2016 - ALFONSO BONAFEDE (M5S) Unioni civili: tutta la verità in faccia al governo

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giovedì 8 ottobre 2015

IL MURO DI GOMMA

Derivati del Tesoro, ormai è “segreto di Stato”
Vietato visionare i contratti fatti con 21 banche,
anche per i deputati


La pietra tombale sulla trasparenza nei contratti derivati sottoscritti dal Tesoro a partire dagli anni 90 verrà posta oggi alle 16 a Palazzo Chigi. A quell'ora, la Commissione per l'accesso agli atti, istituita presso la presidenza del Consiglio metterà a verbale che di fatto nessuno a diritto di vedere quei documenti, eccetto chi li ha firmati: il Tesoro e le banche. Le stesse (sono 21) che a giugno hanno spedito una raffica di lettere al Ministero per dire la stessa cosa che oggi dirà la Commissione. La formula trovata è questa: “I titolari del diritto sono i soli soggetti privati portatori di un interesse qualificato e differenziato ad accedere a documenti amministrativi”, recita la bozza della relazione finale – visionata dal Fatto - messa a punto dai tecnici della Commissione (4 fra magistrati e avvocati dello Stato).
L'espediente è curioso: a quei documenti non possono accedervi i deputati 5Stelle delle Commissioni Finanze e Bilancio della Camera che ne hanno fatto richiesta. Il motivo? Sono parlamentari, e la legge sulla trasparenza degli atti pubblici (la 241 del 1990) gli vieta di farlo per un controllo “generalizzato” sull'operato della Pa. Quello, cioè, che possono fare i consiglieri comunali, ma solo sugli atti del proprio ente. Potrebbero circostanziarlo? No, perché, per i tecnici della Commissione, i parlamentari hanno già “a disposizione gli strumenti del sindacato ispettivo parlamentare”, cioè le interrogazioni a governo e ministri. Le hanno già fatte, e il Tesoro gli ha risposto di no. Perché? Per i motivi sopra elencati. Un cane che si morde la coda. C’è poi il rischio - ha spiegato Maria Cannata, direttrice del debito pubblico - di creare turbolenze sul mercato. Stessa linea del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Sintesi d'obbligo: i derivati sul debito pubblico al momento stanno causando una perdita potenziale fino a 42,6 miliardi (dicembre 2014), ma non si può sapere se questa sarà effettiva, perché i contratti sono segreti. I derivati sono scommesse tra due soggetti: se si verificano alcune circostanze uno vince e l'altro perde. I più diffusi sono gli swap utilizzati per proteggersi dal rialzo dei tassi di interesse sui titoli di Stato, come quello sperimentato nel 2011. Se questi salgono, il Tesoro risparmia, se scendono – come sta avvenendo – ci perde. Dal 2011 al 2014, lo Stato ha subito un aumento del debito di 16,95 miliardi a causa di quei contratti, sottoscritti su un ammontare di 160 miliardi. Secondo Bloomberg, in questi 4 anni l’Italia ha “pagato” per i derivati più di tutti gli altri Stati Ue messi insieme, 3,6 miliardi solo nel 2014 (erano 3,2 l’anno prima). Le perdite derivano in gran parte dalla rinegoziazione dei contratti. Nel 2011 Morgan Stanley decise di chiudere un derivato, incassando 2,6 miliardi grazie a una clausola unilaterale. Le agenzie avevano declassato il rating del debito italiano (compresa, a settembre, Standard & Poors, controllata da McGraw Hill, tra i cui azionisti c’è Morgan Stanley). La vicenda è al centro di un processo in corso a Trani. “Di clausole unilaterali non ne esistono più”, ha spiegato la Cannata, ma ne restano altre “esercitabili da entrambe le parti”. Si sa solo che ne scadranno tre al 2018, e 10 dal 2023. Il 19 novembre, a Trani saranno sentiti l'ex premier Romano Prodi, Padoan, e il presidente della Consob Giuseppe Vegas. Se qualcuno avrà un impedimento, sarà chiamata a deporre la Cannata, alla quale i pm chiederanno conto dei derivati sottoscritti dagli anni 90. Dopo il diniego del Tesoro, i 5Stelle si sono rivolti alla Commissione di Palazzo Chigi. Che ha chiesto il parere delle controparti, le banche. Le 21 lettere inviate alla Cannata ribadiscono che i deputati non possono fare richiesta di accesso agli atti e si inerpicano in motivazioni che sanno di avvertimento: ricordano le clausole di riservatezza dei contratti, e che una volta svelate le informazioni, altri operatori potrebbero applicare un prezzo più alto allo Stato per “nuove transazioni”, cioè altri derivati, ma anche alle stesse banche in caso volessero cederli “a parti terze”, come ha fatto per esempio Ubs. “Più alto è il merito creditizio di una controparte, più alta è la probabilità di essere sottoposti alla speculazione”, avverte Crédit Agricole (che ha chiuso tutte le operazioni). Per Goldman Sachs i contratti potrebbero essere mostrati solo ad “altri operatori economici portatori di interessi omogenei ”. Insomma, la trasparenza esiste solo per i possibili acquirenti. Sarebbero questi i “portatori di interesse qualificato”, di cui parla la relazione della Commissione. Non i contribuenti, a cui manca “l’interesse diretto”, secondo le banche. Gli oneri che l’Italia sta pagando in conseguenza di quei contratti non li riguarda.
“I tecnici hanno spiegato che il rischio speculazione è giuridicamente irrilevante. Ma tanto l’espediente è stato trovato”, dice la deputata M5S Laura Castelli, membro della Commissione, che oggi potrà solo prendere atto della decisione: “Sui derivati c’è un segreto di Stato di fatto”. Oggi il Tar del Lazio si pronuncerà anche sull’istanza presentata dai giornalisti di Wired. Ma non tira una bell’aria.

LE BANCHE
Questa è la lista degli Istituti di credito con cui il Tesoro ha sottoscritto derivati a partire dagli anni ‘90:

Imi (Intesa) , Merrill Lynch, Barclays, BNP Paribas, Citibank , Credit Suisse, Deutsche Bank, AG, Dexia Crediop, FMS Wert management Anstalt Des, Goldman Sachs International, HSBC Bank PLC, ING Bank N.V., JP Morgan Securities PLC, Morgan Stanley and Co.Int.Plc, Nomura International PLC, Societe Generale, The Royal Bank of Scotland PLC, UBS Limited e Unicredit Bank AG

giovedì 1 ottobre 2015

Renzi taglia altri 2 miliardi alla Sanità: “Fondi insufficienti”

Il premier alla Camera si rimangia le cifre scritte nel Def
solo il 18 settembre.
Le Regioni: “Vuole che aumentiamo i ticket”



Matteo Renzi ieri ha detto ufficialmente - in mezzo ad alcune menzogne - che taglierà altri due miliardi alla spesa sanitaria dopo i 2,3 scippati a luglio. Chiunque in questi anni abbia avuto a che fare col Sistema sanitario nazionale (SSN) sa cosa hanno significato i tagli continui dal 2009: più liste d’attesa, più ticket, meno servizi, meno medicinali. Da ieri è chiaro che questo governo intende continuare nella distruzione della sanità pubblica. La prima menzogna: “Nessuna scure” Ieri, alla Camera, il presidente del Consiglio ha detto questo: “Le risorse del Fondo sanitario nazionale nel 2013 erano 106 miliardi, quest’anno 110 e il prossimo anno 111. Sia chiaro che sulla sanità questo Paese non sta tagliando”. C’è un problema: questi numeri sono falsi. Che lo siano non lo dice Il Fatto Quotidiano, ma lo stesso Renzi nel Bilancio dello Stato che firma assieme al ministro Padoan: il SSN veniva finanziato con 109,3 miliardi nel 2013 (non 106) e con 110 miliardi e dispari nel 2014. Nessun aumento, ma un taglio se si tiene conto dell’aumento dei prezzi e di questa noterella tecnica: “La spending review non tiene conto dell’incremento, stimato attorno al 2% annuo e considerato inevitabile nei sistemi sanitari, determinato dall’introduzione di nuove tecnologie e dall’invecchiamento della popolazione”. Lo ha scritto la Camera dei deputati nelle conclusioni di un’indagine conoscitiva approvata l’anno scorso. Tradotto: visto che nel 2009 spendevamo 109,4 miliardi, in sei anni la sanità ha visto i suoi fondi ridursi di 13 miliardi (oltre 2 miliardi l’anno). Bizzarra anche un’altra “imprecisione” del premier: “La sanità è l’unico comparto in cui dal 2002 c’è stato un aumento del 40%”. Sempre il Bilancio dello Stato dice che la spesa sanitaria nel 2002 era di 79 miliardi di euro: l’aumento, dunque, al 2014 è del 28,2% (quasi nullo scontando pure l’inflazione). La seconda menzogna: “Nel 2016 più soldi...” Nel 2016, dice Renzi, il Servizio sanitario nazionale sarà finanziato con 111 miliardi di euro, cioè poco più di quest’anno. Un taglio in termini reali (il solito aumento dei prezzi) e, soprattutto, rispetto agli impegni presi dal governo due settimane fa. Riepilogo: nel Patto per la salute con le regioni inizialmente la spesa sanitaria era quantificata in 113 miliardi quest’anno e in 115 il prossimo; a luglio, poi, Matteo s’è mangiato 2,3 miliardi, che si traducono nelle 208 prestazioni che il governo si appresta a tagliare. La Nota di aggiornamento al Def del 18 settembre recita dunque: 111,2 miliardi nel 2015 e 113,3 miliardi nel 2016. Ieri, invece, il premier ha svelato che l’anno prossimo ci saranno solo 111 miliardi, due in meno. Persino il renziano Sergio Chiamparino, governatore del Piemonte, l’ha presa male: “Il Fondo così non è sufficiente, anche perché stiamo rinnovando i contratti dei medici e del personale sanitario” (bloccati dai sei anni). Massimo Garavaglia, assessore in Lombardia e portavoce dei suoi colleghi: “Questo taglio comporta il rischio di aumento dei ticket e delle liste di attesa. Notiamo il silenzio totale del ministro Lorenzin, che si vede scippare due miliardi che servono a curare i cittadini. Ricordo che se avessimo un livello di finanziamento sul Pil pari a Francia e Germania, il Fondo del SSN dovrebbe aumentare di 30-35 miliardi”. La spesa sanitaria pubblica in Italia, infatti, è inferiore alla media Ocse. Sapete quale aumenta? Quella privata, cioè gli oltre 30 miliardi anno che i cittadini pagano di tasca propria per curarsi.