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sabato 19 settembre 2015

Mattarella e Napolitano Una proposta di legge del 1995 firmata dai futuri capi dello Stato contraddice la riforma Boschi

“La Carta non si può cambiare con maggioranze pro tempore”


Archivio di Montecitorio, Camera dei deputati. Proposta di legge di riforma costituzionale numero 2115. Con il sistema elettorale maggioritario in vigore, la Carta va schermata e protetta per annullare le eventuali derive autoritarie con una maggioranza dei due terzi. Sempre e comunque. Il preambolo:

“È opinione diffusa, se non pressoché pacifica, che l’adozione di sistemi elettorali maggioritari debba essere accompagnata da una riconsiderazione del sistema delle garanzie costituzionali. Una democrazia maggioritaria matura si fonda sulla comune e diffusa convinzione che il principio maggioritario debba dispiegarsi appieno per quanto riguarda le scelte di governo, ma trovi un limite invalicabile nel rispetto dei principi costituzionali, delle regole democratiche, dei diritti e delle libertà dei cittadini: princìpi, regole, diritti, libertà che non sono e non possono essere rimessi alle discrezionali decisioni delle maggioranze pro tempore”.


In calce, le firme di 65 parlamentari, indipendenti, ex comunisti, ex democristiani: Franco Bassanini, Leopoldo Elia, Sergio Mattarella, Giorgio Napolitano, Walter Veltroni, Antonello Soro, Rosy Bindi, Piero Fassino, Sandra Bonsanti. Era il 28 febbraio 1995. Qualcuno ha lasciato Montecitorio, non il potere. Qualcuno è rimasto fedele a se stesso, strenuamente. Qualcuno è scomparso, rimpianto. E qualcuno ha cambiato idea, totalmente. E l’ultimo esempio riguarda Napolitano. Sergio accanto a Giorgio, assieme sul frontespizio del documento della Camera. I futuri presidenti della Repubblica suggerivano una legge per salvare la Costituzione dal berlusconismo (ancora agli albori, seppur già sospeso). A Palazzo Chigi c’era Lamberto Dini, si votava con il Mattarellum (l ’autore è proprio l’attuale presidente). Oggi il renzismo ha plasmato l’Italicum (maggioritario spinto con nominati) che (mal) si combina con la riforma costituzionale che rende inutile il Senato e disintegra il bicameralismo. Maggioranza pigliatutto, minoranza ininfluente. Adesso che al governo c’è Matteo Renzi, che per approvare la sua riforma a Palazzo Madama promuove la pesca a strascico dei senatori con la regia del mozzo Denis Verdini, Napolitano non avverte pericoli. Il contrario: il senatore a vita trama per il buon esito in aula. E neanche Bassanini, che peraltro ha suggerito un lodo, appare in allarme. Non di certo Soro, già comodo da tempo all’Autorità per la privacy. Chissà Mattarella, ancora taciturno. Il testo del ‘95 aveva l’ambizione di imporre sempre la maggioranza dei due terzi degli aventi diritto al voto per approvare le modifiche costituzionali, per eleggere l’inquilino del Quirinale e avrebbe rafforzato lo strumento del referendum (di fatto, in qualsiasi caso possibile). L’atto n. 2115 ha vent’anni, ma non li dimostra: “Appare necessario e urgente sottoporre a una riconsiderazione il sistema delle garanzie costituzionali, a partire dai meccanismi di tutela della rigidità della Costituzione, e dalle norme volte a tutelare l’indipendenza e l’imparzialità degli organi di garanzia. Come è noto, questo sistema fu concepito in correlazione con la prevista adozione di un sistema elettorale proporzionale. (…) Un adeguamento delle garanzie costituzionali è una condizione essenziale perché ogni futura competizione elettorale possa svolgersi in condizioni di serenità e certezza democratica: la certezza che le regole non saranno riscritte a suo piacimento dalla maggioranza che uscirà dalle urne; che i diritti e le libertà dei vinti (e di tutti i cittadini) non saranno alla mercé della volontà dei vincitori. E una garanzia che la destra deve dare alla sinistra e che la sinistra deve dare alla destra”. Oggi, vent’anni dopo, Renzi minaccia di trasformare Palazzo Madama in un museo non ancora definito (segue smentita tattica), procede incurante dei dissenzienti interni al suo partito e fa sapere a Pietro Grasso, presidente di un Senato da tramutare in dopolavoro per i consiglieri regionali, che non può intralciare l’avanzata delle truppe. Mattarella e colleghi avevano già pensato a un antidoto, valido all’epoca per Berlusconi e magari ora per Renzi: “Proponiamo di elevare a due terzi la maggioranza costituzionalmente prescritta per approvare leggi costituzionali o di revisione della Costituzione, per riformare i regolamenti parlamentari, e per eleggere i principali organi di garanzia (presidente della Repubblica e giudici costituzionali di designazione parlamentare). Si ristabilirebbe così, nelle nuove condizioni create dalla legge elettorale maggioritaria, il principio del necessario confronto fra maggioranza e opposizione nella definizione delle regole”.

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