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DI BATTISTA - 11.05.2016 OTTOEMEZZO

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sabato 19 settembre 2015

Come funziona la riforma del Senato? Ecco i punti principali.

Riforma del Senato: cosa cambia e cosa prevede

Quanti saranno i senatori? A Palazzo Madama siederanno in 100 in luogo dei 315 di oggi, così ripartiti: 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 personalità illustri nominate dal presidente della Repubblica. Saranno i Consigli regionali a scegliere i senatori, con metodo proporzionale, fra i propri componenti. Inoltre le regioni eleggeranno ciascuna un altro senatore scegliendolo tra i sindaci dei rispettivi territori, per un totale, quindi, di 21 primi cittadini che arriveranno a Palazzo Madama. La ripartizione dei seggi tra le varie Regioni avverrà "in proporzione alla loro popolazione" ma nessuna Regione potrà avere meno di due senatori. La durata del mandato di questi ultimi sarà di sette anni e non sarà ripetibile. Andranno quindi a sostituire i senatori a vita e saranno scelti con gli stessi criteri: "cittadini che hanno illustrato la patria per i loro altissimi meriti".

I senatori saranno eletti? Non saranno più eletti direttamente dai cittadini; si tratterà invece di una elezione di secondo grado che vedrà approdare in Senato sindaci e consiglieri regionali, il primo rinnovo del Senato li vedrà "eletti" tutti contemporaneamente, dopodiché la loro elezione sarà legata al rinnovo dei consigli regionali. Il sistema sarà proporzionale per evitare che chi ha la maggioranza nella regione si accaparri tutti i seggi a disposizione. Quale sarà lo stipendio dei senatori? I consiglieri regionali e i sindaci che verranno eletti al Senato non riceveranno nessuna indennità, il che dovrebbe portare allo Stato un risparmio di oltre 50 milioni di euro ogni anno. Con i risparmi che dovrebbero arrivare grazie all'unificazione degli uffici di Camera e Senato (e altro modifiche all'insegna dell'ottimizzazione, non meglio specificate) si dice che si potrebbe arrivare anche a mezzo miliardo di risparmi.

Quali sono i poteri del nuovo Senato? Palazzo Madama avrà molti meno poteri e verrà superato il bicameralismo: innanzitutto non potrà più votare la fiducia ai governi in carica, mentre la sua funzione principale sarà quella di "funzione di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica", che poi sarebbero regioni e comuni. Potere di voto vero e proprio invece il Senato lo conserverà solo riforme costituzionali, leggi costituzionali, leggi sui referendum popolari, leggi elettorali degli enti locali, diritto di famiglia, matrimonio e salute e ratifiche dei trattati internazionali.

Il ruolo consultivo del Senato. Il Senato avrà però la possibilità di esprimere proposte di modifica anche sulle leggi che esulano dalle sue competenze. Potrà esprimere, non dovrà, su richiesta di almeno un terzo dei suoi componenti e sarà costretto a farlo in tempi strettissimi: gli emendamenti vanno consegnati entro 30 giorni, la legge tornerà alla Camera che avrà 20 giorni di tempo per decidere se accogliere o meno i suggerimenti. Più complessa la situazione per quanto riguarda le leggi che riguardano i poteri delle regioni e degli enti locali, sui quali il Senato conserva maggiori poteri. In questo caso, per respingere le modifiche la Camera dovrà esprimersi con la maggioranza assoluta dei suoi componenti. Il Senato potrà votare anche la legge di bilancio, le proposte di modifica vanno consegnate entro 15 giorni e comunque l'ultima parola spetta alla Camera.

La corsia preferenziale governativa. Il potere del governo cambia radicalmente: le regole per emettere i decreti legge diventano più rigide, dovranno "recare misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo". I provvedimenti governativi ritenuti essenziali, in compenso, dovranno essere votati dalla Camera entro il termine tassativo di 60 giorni, passati i quali il provvedimento sarà posto in votazione senza modifiche, articolo per articolo e con votazione finale. La riforma del Titolo V. Con la modifica del Titolo V della Costituzione viene rovesciato il sistema per distinguere le competenze dello Stato da quelle delle regioni. Sarà lo Stato a delimitare la sua competenza esclusiva (politica estera, immigrazione, rapporti con la chiesa, difesa, moneta, burocrazia, ordine pubblico, ecc.). Esame preventivo di costituzionalità. Aumentano anche i poteri della Corte Costituzionale, che potrà intervenire, sempre su richiesta, con un giudizio preventivo sulle leggi che regolano elezioni di Camera e Senato. La Consulta dovrà pronunciarsi entro un mese, mentre la richiesta va fatta da almeno un terzo dei componenti della Camera. In questo modo si eviterà di avere una legge elettorale per anni e anni salvo poi scoprire che si tratta di una legge incostituzionale. L'elezione del presidente della Repubblica. Non sono più previsti i delegati regionali e si modifica il quorum. Nei primi quattro scrutini è necessario il quorum dei due terzi, dal quinti all'ottavo dei tre quinti, mentre dopo l'ottavo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta. Referendum: cambiano le regole per la raccolta firme e il raggiungimento del quorum, e viene introdotto il referendum propositivo o di indirizzo.

L'Articolo 2 della riforma del Senato: che cos'è e cosa dice

Che cosa dice l'articolo 2 della riforma del Senato e perché fa litigare il Partito Democratico.
Ma che cos'è questo articolo 2 della riforma del Senato e perché sta creando tutto questo caos all'interno del Partito Democratico, mettendo anche a repentaglio l'approvazione stessa di una delle riforme cardine dell'azione di governo? Si tratta di uno degli articoli decisivi, che regola la composizione e la modalità di nomina di coloro i quali faranno parte del nuovo Senato.

Cosa dice l'articolo 2? "Il Senato della Repubblica è composto da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica. (I consigli regionali) eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori. La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti".

Messa così, è chiaro, non può che trattarsi di una elezione indiretta, di secondo grado. Gli elettori eleggono i consigli regionali e sarà poi compito dei consiglieri regionali decidere chi mandare nel nuovo (e depotenziato) Senato.
Qual è il pomo della discordia? Ormai non ci sono più problemi di sorta sul fatto che il nuovo Senato avrà solo 100 componenti, tutta la bagarre si concentra su modifiche - richieste dalla minoranza Pd - che rendano il Senato elettivo.
Il problema è che l'articolo 2 è già stato approvato in doppia lettura, modificarlo significherebbe ripartire con ulteriori passaggi tra Camera e Senato, allungando notevolmente i tempi. Ma c'è di più: non si può modificare l'articolo 2, essendo già stato approvato senza emendamenti per due volte (il Senato, in questa situazione, può discutere solo emendamenti introdotti dalla Camera). Anche qui, però, c'è una controversia non da poco: alla Camera l'articolo 2 è stato approvato con una formula che recitava: "La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali nei quali sono stati eletti" (cosa che, peraltro, rendeva possibile l'elezione diretta). Al Senato, invece, la formulazione è stata cambiata in quella attuale: "La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti". Una modifica, quindi, c'è: l'articolo 2 non è stato approvato uguale nelle due camere.
Il problema è che questa modifica non è stata introdotta con un emendamento, e quindi non si potrebbe cambiare nuovamente. Se non fosse che c'è un precedente del 2005 in cui si è deciso diversamente. La questione è cavillosa ed è il presidente del Senato Grasso che si sta occupando di dirimerla (senza però voler anticipare quale sia la sua opinione).

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