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martedì 13 ottobre 2015

Senato, ultima fermata: oggi il governo straccia la Carta

Il sì al ddl Boschi. Rodotà: “È una legge nata male
e gestita ancora peggio”

Se si votasse ora col nuovo sistema, Palazzo Madama sarebbe quasi tutto del Pd



Il giorno in cui il governo di Matteo Renzi porta a casa la riforma del Senato è dunque arrivato. Dopo oltre un mese di scontri sugli emendamenti, polemiche sui voti e sugli “aiutini” alla maggioranza, scambi non proprio istituzionali con Pietro Grasso, verso le cinque del pomeriggio ci sarà il voto finale sul ddl Boschi (che poi tornerà alla Camera per la conferma definitiva) con cui il premier riporta l’ennesima vittoria sulla minoranza del Pd. Che si è accontentata di una modifica all’articolo 2 su un’ambigua elettività dei futuri senatori per alzare bandiera bianca. E infatti la riforma, nonostante le minacce iniziali, è filata via piuttosto liscia. Anche per merito del neo gruppo di Denis Verdini – Ala – che si è aggiunto alla maggioranza, con l’ex azzurro tornato prepotentemente al centro della scena. “La riforma è nata male ed è stata gestita anche peggio. L’accoppiata tra riforma costituzionale e Italicum ha degli effetti molto evidenti, un moto ascendente che va dal Parlamento al governo e dal governo al presidente del Consiglio senza più strumenti di controllo”, ha detto ieri Stefano Rodotà. Che parla anche di “una scarsa legittimazione”, perché “il modo in cui i voti vengono acquisiti delegittima le riforme agli occhi di una parte dell’opinione pubblica”. Si è sprecata l’opportunità di uscire “dal bicameralismo perfetto in maniera seria e non truffaldina”.

Tra l’altro, secondo le simulazioni, se si votasse oggi con la nuova legge, avremmo un Senato a stragrande maggioranza Pd, che potrebbe contare su circa una settantina di parlamentari, compresi i cinque nominati dal presidente della Repubblica, mentre verrebbero penalizzati i grillini perché non fanno alleanze. Poi c’è la questione delle tappe. La riforma, infatti, sarà in vigore non prima dell’autunno del 2016. Così, se si andrà a votare per le Politiche nel 2018 saranno solo sei le Regioni in cui i cittadini potrebbero scegliere i consiglieri da mandare a Palazzo Madama: Lombardia, Lazio, Molise, Val d’Aosta, Friuli (dove si voterà nel 2018) e Sicilia (al voto nel 2017). Nelle altre, finché non si andrà alle urne (dal 2019), i senatori saranno scelti dai consigli regionali. In Senato, insomma, ci sarà un turn over continuo di consiglieri regionali e sindaci, dove quelli a fine mandato saranno sostituiti dai nuovi eletti. In aula oggi non ci saranno sorprese. I senatori della maggioranza sono stati precettati per superare quota 170. Mentre il centrodestra si presenta spaccato: se la Lega non parteciperà al voto, Forza Italia voterà contro, ma con numerose defezioni.

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