Il sì al ddl Boschi. Rodotà: “È una legge nata male
e
gestita ancora peggio”
Se si votasse ora col nuovo sistema, Palazzo Madama sarebbe quasi tutto del Pd
Il giorno in cui il governo di Matteo Renzi porta a casa la
riforma del Senato è dunque arrivato. Dopo oltre un mese di scontri sugli
emendamenti, polemiche sui voti e sugli “aiutini” alla maggioranza, scambi non
proprio istituzionali con Pietro Grasso, verso le cinque del pomeriggio ci sarà
il voto finale sul ddl Boschi (che poi tornerà alla Camera per la conferma
definitiva) con cui il premier riporta l’ennesima vittoria sulla minoranza del
Pd. Che si è accontentata di una modifica all’articolo 2 su un’ambigua
elettività dei futuri senatori per alzare bandiera bianca. E infatti la
riforma, nonostante le minacce iniziali, è filata via piuttosto liscia. Anche
per merito del neo gruppo di Denis Verdini – Ala – che si è aggiunto alla
maggioranza, con l’ex azzurro tornato prepotentemente al centro della scena.
“La riforma è nata male ed è stata gestita anche peggio. L’accoppiata tra
riforma costituzionale e Italicum ha degli effetti molto evidenti, un moto
ascendente che va dal Parlamento al governo e dal governo al presidente del
Consiglio senza più strumenti di controllo”, ha detto ieri Stefano Rodotà. Che
parla anche di “una scarsa legittimazione”, perché “il modo in cui i voti
vengono acquisiti delegittima le riforme agli occhi di una parte dell’opinione
pubblica”. Si è sprecata l’opportunità di uscire “dal bicameralismo perfetto in
maniera seria e non truffaldina”.
Tra l’altro, secondo le simulazioni, se si votasse oggi con
la nuova legge, avremmo un Senato a stragrande maggioranza Pd, che potrebbe
contare su circa una settantina di parlamentari, compresi i cinque nominati dal
presidente della Repubblica, mentre verrebbero penalizzati i grillini perché
non fanno alleanze. Poi c’è la questione delle tappe. La riforma, infatti, sarà
in vigore non prima dell’autunno del 2016. Così, se si andrà a votare per le
Politiche nel 2018 saranno solo sei le Regioni in cui i cittadini potrebbero
scegliere i consiglieri da mandare a Palazzo Madama: Lombardia, Lazio, Molise,
Val d’Aosta, Friuli (dove si voterà nel 2018) e Sicilia (al voto nel 2017).
Nelle altre, finché non si andrà alle urne (dal 2019), i senatori saranno
scelti dai consigli regionali. In Senato, insomma, ci sarà un turn over
continuo di consiglieri regionali e sindaci, dove quelli a fine mandato saranno
sostituiti dai nuovi eletti. In aula oggi non ci saranno sorprese. I senatori
della maggioranza sono stati precettati per superare quota 170. Mentre il
centrodestra si presenta spaccato: se la Lega non parteciperà al voto, Forza
Italia voterà contro, ma con numerose defezioni.
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