Il governo subito: Di Maio e Di Battista sfidano i fondatori
A Imola la base Cinque stelle consacra i due giovani deputati Grillo: “Se un giorno dovessimo fallire, prendetevela con loro”
A questo punto della storia, quando il boom delle elezioni è
lontano di due anni e mezzo e altrettanti ne mancano, almeno sulla carta, per
la prossima chiamata alle urne, il Movimento fa il suo giro di boa. I due guru,
Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, restano la garanzia di fedeltà al metodo
Cinque stelle. I due emergenti, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista
testimoniano pari fede, ma ormai hanno preso la loro strada. Così, a Imola, al
raduno nazionale di parlamentari, sindaci, consiglieri e militanti, si
schierano le truppe. Da una parte la linea ostile alla “vittoria a tutti i
costi”, per qualcuno supportata perfino dalla teoria secondo cui restare all'opposizione è ossigeno inesauribile per la vita politica del Movimento. Dall'altra la
consapevolezza che l’occasione di oggi è unica e irripetibile. E che se c’è
qualcuno che può giocarsela, ha la faccia del napoletano moderato e
dell’agit-prop capitolino.
Regole inviolabili e ambizioni nazionali Non
correranno nelle loro città, Napoli e Roma, che pure sono prossime al voto
perché le regole sono regole. E soprattutto perché Di Maio e Di Battista
preferiscono muoversi già da salvatori della patria, convinti che la partita
per il governo sia appena cominciata. La platea di Imola è la consacrazione che
mancava. Al di là delle assemblee locali, della vetrina del Parlamento, delle
passerelle tv, è qui – in questo raduno che loro stessi chiamano della
“maturità” – che Di Maio e Di Battista si confrontano con la base. Si muovono
separati, ma fanno gioco di coppia. Uno pronto a proporsi come biglietto da
visita del Movimento per l’eletto rato meno estremista, l’altro in pista per
continuare a tenere in allerta la pancia grillina. Quando sale sul palco di
Imola, alle 9 della sera, Di Maio è reduce da una giornata che non è filata
proprio liscia. Al mattino, Grillo e Casaleggio, rispondendo ai cronisti, hanno
detto che “non si sa” se sarà lui il candidato premier M5s.
Non ha gradito, Di
Maio. E lo staff della comunicazione ha avviato un complesso lavoro per
smorzare i titoli dei siti internet che già parlavano del “gelo” tra Grillo e
il suo discepolo. Il discorso da premier e il ritorno all'utopia Poco importa,
comunque, quello che scrivono i giornali. Di Maio il suo discorso da candidato
premier, lo fa e basta. Già calato nella narrazione (“Ognuno di voi - dice alla
platea - avrà la sua occasione per cambiare la storia di questo Paese”); già
incline all'inclusione (“Dovremo fare in modo che tutti, anche quelli che non
ci hanno votato, potranno partecipare alle scelte collettive”); già volto
rassicurante (“Noi non vogliamo entrare nelle istituzioni per occuparle, ma per
restituirle chiavi in mano ai cittadini”). “Quando andremo al governo”, ripete
Di Maio - che attacca Verdini, “i voltagabbana” e tutti quelli che sostengono
Renzi, “il terzo premier senza legittimazione popolare” - il problema “non
saranno i nomi”, dice il vicepresidente della Camera. Che sarà una squadra di
governo (premier compreso) completamente scelta dagli iscritti lo dice
Gianroberto Casaleggio, che sale sul palco dopo di lui.
Eppure, con quel
pastrano scuro, con quel discorso che inciampa e con quell'esordio a frenare la
folla (“Calmi, calmi”), sembra venire da un altro mondo. “Non possiamo stare all'opposizione per troppo tempo – dice anche lui – tanto peggio dei partiti
non possiamo fare”. Però il come e il quando sono meno determinati di quanto
sembrasse. Un p o’ perché il co-fondatore M5S ammette di temere manovre non
meglio precisate: “Non ci vogliono far votare” (il consigliere comunale di Roma
Marcello De Vito, a margine, arriverà ad adombrare l’ipotesi di un decreto a
febbraio, per evitare le urne a Roma). Un po’, prosegue Casaleggio, perché “dobbiamo
andare al governo sì, ma senza fretta perché noi siamo il trend del futuro”.
L’idea, l’utopia. Grillo si avvicina. Chiede a Casaleggio di restare sul palco.
E chiarisce il punto: “Voi ci amate, ci applaudite, gridate onestà. Ma io so
benissimo che se non riusciremo a soddisfare tutte le cose che stiamo dicendo
qua, so chi verrete a cercare: ma siamo già corsi ai ripari, nel giro di 24 ore
spariremo e lasceremo qua Di Maio e Di Battista”. Selfie, suppliche e politici
di professione Giù, lo hanno già capito. Ieri si sono visti, tra gli altri:
fidanzati spingere le proprie compagne verso Di Maio (“Dai, vai, non ti devi
vergognare”), signore al limite dello stalking (“Io non me ne vado da qui
finché non ho fatto una foto con Alessandro ”), sfottò irriverenti (“Dai, dai
forza con ‘sti selfie”, dice Di Battista a quelli che lo circondano), suppliche
nervose (“C’è la Taverna, fatele con lei le foto!”, ha sbottato Di Maio).
Perfino la scorta (una “task force” di volontari addetti alla sicurezza) è in
brodo di giuggiole: “Di Maio è un signore, un signore veramente”. Il palco, per
Di Battista, arriverà solo oggi. Ora si limita ad allargare lo sguardo e a
ripetere: “Che bella Italia”. Dice che rispetto al Circo Massimo di un anno fa,
gli elettori sono cresciuti, hanno studiato, è convinto che il messaggio abbia
fatto breccia. Distribuisce volantini alla folla adorante: “Questo è sulla
scuola! Questo è sui soldi ai partiti! Solo proposte, zero proteste!”. Un
attivista lo guarda, tra l’ammirazione e lo sconforto: “Aiuto, io non ce la
farei mai a fare il politico di professione”.
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