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DI BATTISTA - 11.05.2016 OTTOEMEZZO

11.05.2016 - ALFONSO BONAFEDE (M5S) Unioni civili: tutta la verità in faccia al governo

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martedì 6 ottobre 2015

Sex in the Senate, 5 giornate e non 10: Grasso si piega al Pd

Pene dimezzate per i verdiniani, indispensabili
per la riforma renzianissima


Lucio Barani
Pene dimezzate per i verdiniani, indispensabili per la riforma renzianissima. Sanzioni anche per i Cinque Stelle, in ossequio al detto “tutti colpevoli nessun colpevole”. E un nuovo processo sulla seduta di giovedì 1° ottobre, “perché quel giorno hanno offeso la Boschi”. Dopo oltre quattro ore di conclave, il Consiglio di Presidenza del Senato emana le sentenze per i verdiniani Lucio Barani e Vincenzo D’Anna, accusati di gesti sessisti nei confronti della senatrice del M5s Barbara Lezzi, venerdì scorso: cinque giorni di sospensione a testa, con effetto immediato. La metà della pena massima, molto meno di quanto auspicava il presidente del Senato Pietro Grasso. Ma di fronte al muro del Pd, con 7 membri su 18 del Consiglio, l’ex pm ha ripiegato su una mediazione sfumata. Sul registro dei cattivi anche il 5Stelle Alberto Airola con un turno di stop, per aver inveito contro la senatrice dem e segretaria d’aula Angelica Saggese (“Mi sono rotto i coglioni”, sostiene di aver urlato). Censura per il capogruppo del M5s Gianluca Castaldi (un cartellino giallo), colpevole di essersi rivolto con impeto alla Boschi. E censura anche per il gruppo della Lega, reo di aver sventolato banconote all’indirizzo dei verdiniani, giovedì.
Queste le pene, votate all’unanimità dall’Ufficio di Presidenza, con l’eccezione della rappresentante del M5s in Consiglio, il questore Laura Bottici, che non ha partecipato per protesta. Si sente defraudato il Movimento, che voleva le sanzioni massime per i verdiniani. “Io alla Camera ho preso 15 giorni di sospensione per aver gridato: onestà”, ricorda Alessandro Di Battista. Rabbia anche nel gruppo verdiniano, Ala, che parla di “insufficienza di prove”. Pare rinfrancato il Pd, che voleva limitare i danni per gli amici di Denis. Una linea chiara in Consiglio sin dal calcio d’inizio, alle 13.
Vincenzo D'Anna
Tutti cercano Barani, ma il craxiano con garofano perenne sulla giacca non si vede. Invia un promemoria difensivo, in cui afferma di essere stato “provocato dai 5Stelle” e rilancia: “Il mio gesto (la mano portata verso la bocca aperta, ndr) è stato equivocato, li invitavo a ingoiare fascicoli”. Appare invece D’Anna. Ma non verrà sentito. Niente testimoni per il Consiglio: la partita si gioca su alcune immagini, da visionare su un maxi-schermo. Ci sono i filmati interni di Palazzo Madama e c’è il video già diffuso da La7, che mostra D’Anna indicare qualcuno col dito e poi portarsi le mani davanti all’inguine. Si parte in orario, ma ci si ferma presto. Alla seduta del Consiglio devono partecipare tutti i gruppi. Così telefonano ad Ala, Gal e Conservatori riformisti (i fittiani), chiedendo che mandino un rappresentante ciascuno. I verdiniani inviano Ciro Falanga, i fittiani Cinzia Bonfrisco, da Gal rispondo: “Procedete senza di noi”. Si riparte, con i video. Quello del Tg La7è chiaro, i filmati interni sono sgranati. Uno dei presenti assicura: “La mano di Barani non si vede bene, ma si nota che l’ha portata verso le parti basse”. Contro di lui, anche le parole della leghista Stefani (“Ho visto quel gesto”). I rappresentanti del Pd (6 su 7 donne) la prendono larga. Parlano di “atti figli anche di un clima esasperato”, si lamentano delle “offese subìte dalle donne del Pd”. Invocano: “Bisogna allargare le verifiche ad altri gruppi e sedute”. È la linea di Falanga, che tira in mezzo la Lega: “Ci hanno offeso dandoci dei venduti”. Parla la Bonfrisco: “È stata offesa una donna, servono le pene massime”. Vuole dieci giorni di stop anche la Bottici: “A noi li dettero per aver bloccato l’aula durante lo Sblocca Italia ”. La dem Saggese accusa Airola di averla offesa in aula. Cita Castaldi, apparso in un video davanti alla Boschi, furibondo (“Prenda posizione”, avrebbe urlato).



Il tempo passa: si doveva finire alle 15, ma viene fissato un nuovo termine, alle 15:45. Alla buvette, D’Anna: “Ci difende Falanga? Ci daranno l’ergastolo”. La riunione scivola alle 16:30. Grasso fa la sua proposta con le varie sanzioni. E annuncia una seduta sui fatti del 1° ottobre. Si parla di una richiesta dal Pd: rinviare l’applicazione delle pene. Ma i dem negano. La certezza è che passa la proposta di Grasso. Fuori, Airola affronta la De Giorgi: “Siete degli infami, ho detto solo una parolaccia”. Lei replica: “Faccio finta di non sentire”. Lui urla: “Sono tutti dei papponi”. In aula, Castaldi: “Grasso, lei ci ha rifilato il primo cucchiaino di ricino”. Quindi, la Lezzi: “Sanzioni molto lievi, ma dobbiamo andare oltre”. Mentre Grasso promette: “D’ora in poi nessuna deroga al principio di correttezza”. Ora, la partita sulle presunte offese alla Boschi. “Vedrete cosa uscirà”, sibila una dem.

sabato 3 ottobre 2015

FUMATA NERA

Consulta, appello di Mattarella: “Eleggete i giudici”


L’altro ieri è andata in scena l’ennesima votazione farsa. Ma adesso le più alte cariche dello Stato si sono stancate delle manfrine della politica. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha detto al Parlamento che deve “provvedere con la massima urgenza” all'elezione dei tre giudici della Consulta perché si tratta di un “fondamentale adempimento, a tutela del buon funzionamento e del prestigio della Corte e a salvaguardia della responsabilità istituzionale”. L’appello del Quirinale è stato “totalmente condiviso” dai presidenti del Senato e della Camera che in una nota congiunta hanno a loro volta spronato le forze politiche al senso di responsabilità. Pietro Grasso e Laura Boldrini hanno ricordato infatti di aver più volte “sollecitato” i gruppi. Il Pd, che giovedì aveva votato per l’ennesima volta scheda bianca ora dice: “Dobbiamo fare il possibile”. Dalla prossima votazione, in programma per fine mese, per eleggere i tre giudici costituzionali non serviranno più i due terzi dei voti ma saranno sufficienti i quattro quinti.

Il funerale della Costituzione: parenti sistemati e gesti osceni

Barani e il gesto alla Lezzi: “Ha mimato sesso orale”

Senato oltraggiato. Lui si difende così: “Invitavo i colleghi cinquestelle a ingoiare fascicoli, era un gesto istintivo”. Paola Taverna: “Porco maiale”


Filava tutto liscio per Matteo e Denis. C’erano i numeri giusti per il partito della Nazione, c’era rassegnazione tra le opposizioni, c’erano i sorrisi di Maria Elena Boschi tra i banchi del governo e Luca Lotti sul fondo della sala, a tessere ancora fili. Poi, attorno alle 17.40, il futuro padre costituente Lucio Barani, ora capogruppo dei verdiniani ma per sempre craxiano, rovina la festa: soprattutto, offende una donna. Nel giorno in cui la maggioranza esce indenne da decine di votazioni, scrutinio segreto compreso (ma crollando a 160 voti), è lui il volto del partito della Nazione che riscrive la Carta per riformare (svuotare) il Senato.
Proprio lui, Barani, che siede accanto a Verdini con perenne garofano sulla giacca a ricordare il Psi. In Aula, dal suo scranno, fa un gesto rivolto verso la senatrice del M5s Barbara Lezzi. Da lontano si scorge il senatore che chiude le dita e muove la mano verso la propria bocca, spalancata. Una, due, più volte. “Mimava un rapporto orale” accusano i 5Stelle, parecchi testimoni e una senatrice leghista. “Li invitavo a ingoiare fascicoli, un gesto istintivo” si difenderà l’accusato. Di certo dopo ore di noia scoppia l’incendio. La scintilla è un duello verbale tra il 5stelle Vito Crimi e il verdiniano Ciro Falanga. L’ex forzista chiede di intervenire a titolo personale, il presidente del Senato Pietro Grasso tentenna, i 5Stelle insorgono (“si può fare solo a fine seduta”). Poi irrompe Barani. E muove quella mano. Qualcuno vede anche un altro verdiniano che si sfiora le parti basse. Ma la tempesta si chiama Barani. La Lezzi (che aspetta un bimbo) è una furia: “Noi vogliamo che Barani venga espulso, chieda scusa o non si può andare avanti”. Paola Taverna piange di rabbia, urla: “Porco, maiale”. Il capogruppo Gianluca Castaldi corre verso i seggi di Ala, il gruppo dei verdiniani. Sibila a Barani: “Hai fatto schifo ”. Scende e passa davanti alla Boschi: “Lei è un ministro, prenda posizione”. La Dem rimane interdetta. Grasso non ha visto. Invita Barani a spiegarsi, e lui nega: “Non ho fatto nessun gesto”. I 5Stelle cantano “fuori”, la leghista Erika Stefani conferma: “Ho visto quel gesto”. Condanne anche dalle senatrici dem. Non si può andare avanti: sospensione di dieci minuti. Si riparte senza il verdiniano. Grasso convoca l’ufficio di presidenza per lunedì alle 13. Si rivedranno i filmati interni e si sentiranno testimoni, per decidere l’eventuale sanzione per Barani (rischia dall’interdizione fino a 10 giorni di sospensione). Intanto lui rimane fuori. C’è invece la maggioranza. In tutte le votazioni sull’articolo 2 del cammina tra i 169 e i 177 voti, salvo un calo con cui scende a quota 157. Bocciato anche un emendamento soppressivo di tutto l’articolo 2. Non si può sbagliare. E infatti arriva il renzianissimo sottosegretario Lotti. Parla a lungo: con il forzista Bernabò Bocca, con vari di Ncd, con i verdiniani. Compare anche Angelino Alfano.
L’unica paura è per i voti segreti. Pd e alleati ne temono sei, ma Grasso riduce tutto a un unico voto. Mario Mauro (Gal) è duro: “Accuso il presidente del Senato di essere un partigiano di Renzi, ha cambiato idea dopo aver incontrato la Boschi”. Dalla presidenza respingono: “Due emendamenti non erano ammissibili, quattro sono stati accorpati perché erano uguali”. Si vota a scrutinio segreto, sull’emendamento di Roberto Calderoli sulle minoranze linguistiche: 160 contrari, 116 favorevoli, 3 astenuti. Boschi pare delusa: si è scesi sotto la maggioranza assoluta (161), non necessaria ma simbolica. Ma il Pd celebra: “Avevamo quattro assenti, e il gruppo delle Autonomie, che pure è in maggioranza, ha votato a favore”. Ma Miguel Gotor (minoranza dem) avverte: “Il tentativo di sostituire trenta senatori del Pd con le truppe di Verdini e degli amici di Cosentino era velleitario”. Lotti e Verdini escono assieme, da vecchi amici. Oggi si vota l’emenda - mento Finocchiaro, quello d el l’accordo interno al Pd: prevede che consiglieri regionali e sindaci, componenti del nuovo Senato, saranno scelti dai cittadini e poi ratificati dai Consigli regionali

sabato 19 settembre 2015

Come funziona la riforma del Senato? Ecco i punti principali.

Riforma del Senato: cosa cambia e cosa prevede

Quanti saranno i senatori? A Palazzo Madama siederanno in 100 in luogo dei 315 di oggi, così ripartiti: 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 personalità illustri nominate dal presidente della Repubblica. Saranno i Consigli regionali a scegliere i senatori, con metodo proporzionale, fra i propri componenti. Inoltre le regioni eleggeranno ciascuna un altro senatore scegliendolo tra i sindaci dei rispettivi territori, per un totale, quindi, di 21 primi cittadini che arriveranno a Palazzo Madama. La ripartizione dei seggi tra le varie Regioni avverrà "in proporzione alla loro popolazione" ma nessuna Regione potrà avere meno di due senatori. La durata del mandato di questi ultimi sarà di sette anni e non sarà ripetibile. Andranno quindi a sostituire i senatori a vita e saranno scelti con gli stessi criteri: "cittadini che hanno illustrato la patria per i loro altissimi meriti".

I senatori saranno eletti? Non saranno più eletti direttamente dai cittadini; si tratterà invece di una elezione di secondo grado che vedrà approdare in Senato sindaci e consiglieri regionali, il primo rinnovo del Senato li vedrà "eletti" tutti contemporaneamente, dopodiché la loro elezione sarà legata al rinnovo dei consigli regionali. Il sistema sarà proporzionale per evitare che chi ha la maggioranza nella regione si accaparri tutti i seggi a disposizione. Quale sarà lo stipendio dei senatori? I consiglieri regionali e i sindaci che verranno eletti al Senato non riceveranno nessuna indennità, il che dovrebbe portare allo Stato un risparmio di oltre 50 milioni di euro ogni anno. Con i risparmi che dovrebbero arrivare grazie all'unificazione degli uffici di Camera e Senato (e altro modifiche all'insegna dell'ottimizzazione, non meglio specificate) si dice che si potrebbe arrivare anche a mezzo miliardo di risparmi.

Quali sono i poteri del nuovo Senato? Palazzo Madama avrà molti meno poteri e verrà superato il bicameralismo: innanzitutto non potrà più votare la fiducia ai governi in carica, mentre la sua funzione principale sarà quella di "funzione di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica", che poi sarebbero regioni e comuni. Potere di voto vero e proprio invece il Senato lo conserverà solo riforme costituzionali, leggi costituzionali, leggi sui referendum popolari, leggi elettorali degli enti locali, diritto di famiglia, matrimonio e salute e ratifiche dei trattati internazionali.

Il ruolo consultivo del Senato. Il Senato avrà però la possibilità di esprimere proposte di modifica anche sulle leggi che esulano dalle sue competenze. Potrà esprimere, non dovrà, su richiesta di almeno un terzo dei suoi componenti e sarà costretto a farlo in tempi strettissimi: gli emendamenti vanno consegnati entro 30 giorni, la legge tornerà alla Camera che avrà 20 giorni di tempo per decidere se accogliere o meno i suggerimenti. Più complessa la situazione per quanto riguarda le leggi che riguardano i poteri delle regioni e degli enti locali, sui quali il Senato conserva maggiori poteri. In questo caso, per respingere le modifiche la Camera dovrà esprimersi con la maggioranza assoluta dei suoi componenti. Il Senato potrà votare anche la legge di bilancio, le proposte di modifica vanno consegnate entro 15 giorni e comunque l'ultima parola spetta alla Camera.

La corsia preferenziale governativa. Il potere del governo cambia radicalmente: le regole per emettere i decreti legge diventano più rigide, dovranno "recare misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo". I provvedimenti governativi ritenuti essenziali, in compenso, dovranno essere votati dalla Camera entro il termine tassativo di 60 giorni, passati i quali il provvedimento sarà posto in votazione senza modifiche, articolo per articolo e con votazione finale. La riforma del Titolo V. Con la modifica del Titolo V della Costituzione viene rovesciato il sistema per distinguere le competenze dello Stato da quelle delle regioni. Sarà lo Stato a delimitare la sua competenza esclusiva (politica estera, immigrazione, rapporti con la chiesa, difesa, moneta, burocrazia, ordine pubblico, ecc.). Esame preventivo di costituzionalità. Aumentano anche i poteri della Corte Costituzionale, che potrà intervenire, sempre su richiesta, con un giudizio preventivo sulle leggi che regolano elezioni di Camera e Senato. La Consulta dovrà pronunciarsi entro un mese, mentre la richiesta va fatta da almeno un terzo dei componenti della Camera. In questo modo si eviterà di avere una legge elettorale per anni e anni salvo poi scoprire che si tratta di una legge incostituzionale. L'elezione del presidente della Repubblica. Non sono più previsti i delegati regionali e si modifica il quorum. Nei primi quattro scrutini è necessario il quorum dei due terzi, dal quinti all'ottavo dei tre quinti, mentre dopo l'ottavo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta. Referendum: cambiano le regole per la raccolta firme e il raggiungimento del quorum, e viene introdotto il referendum propositivo o di indirizzo.

L'Articolo 2 della riforma del Senato: che cos'è e cosa dice

Che cosa dice l'articolo 2 della riforma del Senato e perché fa litigare il Partito Democratico.
Ma che cos'è questo articolo 2 della riforma del Senato e perché sta creando tutto questo caos all'interno del Partito Democratico, mettendo anche a repentaglio l'approvazione stessa di una delle riforme cardine dell'azione di governo? Si tratta di uno degli articoli decisivi, che regola la composizione e la modalità di nomina di coloro i quali faranno parte del nuovo Senato.

Cosa dice l'articolo 2? "Il Senato della Repubblica è composto da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica. (I consigli regionali) eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori. La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti".

Messa così, è chiaro, non può che trattarsi di una elezione indiretta, di secondo grado. Gli elettori eleggono i consigli regionali e sarà poi compito dei consiglieri regionali decidere chi mandare nel nuovo (e depotenziato) Senato.
Qual è il pomo della discordia? Ormai non ci sono più problemi di sorta sul fatto che il nuovo Senato avrà solo 100 componenti, tutta la bagarre si concentra su modifiche - richieste dalla minoranza Pd - che rendano il Senato elettivo.
Il problema è che l'articolo 2 è già stato approvato in doppia lettura, modificarlo significherebbe ripartire con ulteriori passaggi tra Camera e Senato, allungando notevolmente i tempi. Ma c'è di più: non si può modificare l'articolo 2, essendo già stato approvato senza emendamenti per due volte (il Senato, in questa situazione, può discutere solo emendamenti introdotti dalla Camera). Anche qui, però, c'è una controversia non da poco: alla Camera l'articolo 2 è stato approvato con una formula che recitava: "La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali nei quali sono stati eletti" (cosa che, peraltro, rendeva possibile l'elezione diretta). Al Senato, invece, la formulazione è stata cambiata in quella attuale: "La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti". Una modifica, quindi, c'è: l'articolo 2 non è stato approvato uguale nelle due camere.
Il problema è che questa modifica non è stata introdotta con un emendamento, e quindi non si potrebbe cambiare nuovamente. Se non fosse che c'è un precedente del 2005 in cui si è deciso diversamente. La questione è cavillosa ed è il presidente del Senato Grasso che si sta occupando di dirimerla (senza però voler anticipare quale sia la sua opinione).